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Etica, morale, politica e omicidio
A dimostrazione del fatto che la grandezza di Kundera non si vede solamente nel celeberrimo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, oppure nel meno noto “L’immortalità”, vale sicuramente la pena di ricordare e leggere questo romanzo del 1973 che, citando le parole dello stesso autore, può pertanto definirsi un “vaudeville in cinque atti”, una commedia leggera e frizzante ma con tanto contenuto. Sullo sfondo di una località termale cecoslovacca, nota per le terapie a sostegno della fertilità femminile, si incrociano le vite di alcuni personaggi tra i quali si stagliano le vicende dell’infermiera Ruzena, rimasta incinta, e del suo amante (ma solo per una notte) Klima, noto trombettista, considerato il padre del futuro nascituro. La storia diventa così l’occasione per quei classici approfondimenti filosofici, etici e morali ai quali Kundera ci ha abituati. Il confronto tra Ruzena e Klima è innanzitutto uno scontro sull’aborto nella quale prevalgono i differenti punti di vista ed interessi, ed in cui Kundera introduce, attraverso le parole di uno dei suoi protagonisti, anche una prospettiva cristiana: “Tutti gli avvenimenti sono nelle mani di Dio, e noi ignoriamo la loro sorte futura; con questo voglio dire che accettare la vita così com’è significa accettare l’imprevedibile. E un bambino è l’imprevedibilità stessa”.
Accanto agli interrogativi sull’opportunità di abortire, si incastrano nel romanzo anche interrogativi e riflessioni squisitamente politiche. Kundera è infatti noto per le sue prese di posizione contro i regimi totalitari e contro l’impatto della cattiva politica sulle vite dei cittadini, come avveniva nel suo paese in quel preciso momento storico, sotto l’influsso comunista: “Se la scienza e l’arte sono effettivamente il teatro naturale e autentico della storia, la politica è, al contrario, il chiuso laboratorio scientifico in cui si compiono esperimenti inauditi sull’uomo! Cavie umane vengono fatte precipitare nella trappola e poi di nuovo sollevate sulla scena, sedotte dagli applausi e terrorizzate dal capestro, denunciate e costrette alla delazione”.
Ma le sorprese di questo romanzo -nel quale l’etica ed il richiamo ad una giustizia ultraterrena e mistica si palesano sorprendentemente (“La giustizia non è una cosa umana. C’è la giustizia delle leggi cieche e crudeli, e c’è forse un’altra giustizia superiore, ma quella per me è incomprensibile”)- vanno ancora oltre, fino ad omaggiare uno dei più grandi romanzieri di sempre, con un parallelismo con Raskol’nikov. Perché nel Valzer degli addii Kundera stupisce i lettori attingendo anche al genere poliziesco ed il presunto omicida si pone quelle stesse domande che si poneva il protagonista di “Delitto e castigo” sul diritto di uccidere e di sacrificare altre vite, partendo dal presupposto che la natura umana è feroce e “che ogni uomo desidera la morte di un altro e che dal delitto lo distolgono solo due cose: la paura del castigoe la difficoltà fisica dell’uccidere”.