Dettagli Recensione
Don Candido di Westfalia
Un po' Don Chisciotte, un po' Pinocchio; un po' racconto, un po' trattato filosofico proposto in veste fiabesca e comica. Sebbene sia più vecchio di oltre un secolo rispetto al racconto di Collodi, Candido ha una struttura e una narrazione molto simile: spezzettata in capitoli molto brevi, introdotti da titoli che anticipano gli eventi che si apprestano a narrare e che in certi casi potrebbero essere racconti a sé stanti. Forse su quest’ultimo aspetto Pinocchio ha una marcia in più, ma c’è da dire che mentre le disavventure del nostro burattino si concentrano su diversi temi (che dunque è accettabile spezzettare e vedere trattati separatamente), Candido cerca di arrivare alla sua conclusione principale con la storia nella sua interezza.
È evidente l’intenzione di Voltaire di sfruttare il registro comico e leggero della fiaba per poter essere dissacrante, ironico e paradossale nel montare e smontare quelle dottrine filosofiche che di norma vengono trattate con la serietà che loro compete. Tuttavia, l’approccio di Voltaire è efficace e interessante, e per raggiungere il suo scopo si serve in primis del suo protagonista: perfetta incarnazione del buono/ingenuo che attinge qualcosa, come dicevo all’inizio, del Cavalier Mancego di Cervantes. Come si fa, infatti, a non associare i vari compagni di viaggio (Cacambo in primis) al fedele Sancho Panza? Come si può non pensare di Cunegonda come alla bella Dulcinea del Toboso, motore di tutte le disavventure di Don Chisciotte così come la baronessa di Westfalia lo è per quelle di Candido? Sarà magari un’idea del tutto personale e campata in aria, ma forse a Voltaire non interessava essere narrativamente innovativo, ma cercava uno schema collaudato ed efficace che potesse permettergli di raggiungere il suo obiettivo: una discettazione romanzata che ha come tema centrale l’ottimismo; un ottimismo che Voltaire si diverte a smontare per mezzo delle disavventure di Candido.
Ma come riesce a far questo?
Molti dei personaggi di questo racconto sono rappresentanti in carne e ossa di un concetto nella sua accezione filosofica più estrema: il filosofo Pangloss è infatti la perfetta incarnazione dell’ottimismo estremo (ogni tragedia accade perché alla fine tutto vada nel migliore dei modi), che si contrappone al pessimismo acuto di Martin e del nobile veneziano Pococurante. In mezzo a tutte queste figure un po’ macchiettistiche si pone lo stesso Candido, che seppure sia influenzato da entrambe le parti non ha ancora preso la sua posizione: non parteggia né per l’una né per l’altra linea di pensiero, ma cerca di analizzarle e rapportarle a tutto ciò che gli capita, per capire quale di queste sia effettivamente supportata dai fatti. In conclusione delle sue avventure, sarà lo stesso Candido a trarre quella che forse è la vera idea di Voltaire: che la verità non starà forse nel mezzo, ma quasi.
Candido, forse, rappresenta per Voltaire ciò che il filosofo dovrebbe essere: qualcuno che non cerca di adattare la realtà alla propria filosofia, ma la corregge quando i fatti finiscono per sconfessarla. Una conclusione alla Holmes.
“«Credete - disse Candido - che gli uomini si siano sempre massacrati a vicenda come oggi? che siano sempre stati bugiardi, imbroglioni, perfidi, ingrati, briganti, deboli, mutevoli, vigliacchi, invidiosi, golosi, ubriaconi, avari, ambiziosi, sanguinari, calunniatori, dissoluti, fanatici, ipocriti e sciocchi?» «E voi - disse Martin - credete che gli sparvieri si siano sempre cibati dei piccioni che trovano?» «Sì. certo», disse Candido. «Ebbene! - replicò Martin - se gli sparvieri hanno sempre avuto lo stesso carattere, perché volete che gli uomini abbiano mutato il loro?»”
Commenti
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capisco la delusione, in fondo il libro è piuttosto carente sotto gli aspetti da te evidenziati, ma credo che non ci fosse la minima intenzione, da parte di Voltaire, di creare personaggi psicologicamente complessi né una vicenda articolata. Il suo obiettivo era proprio quello di creare personaggi portati all'estremo (e di conseguenza, un po' banali e poco realistici) e delle disavventure semplici e create ad arte per poter supportare le sue discettazioni in maniera leggera. È per questo che lo reputo più una fiaba che un romanzo vero e proprio; difatti, oltre ai romanzi che ho citato in recensione, mi ha portato alla mente anche alcuni racconti de "Le mille e una notte", che tutto sono tranne che storie dalla spiccata profondità psicologica.
Tutto sta, credo, nell'approcciare il racconto per quello che è e che comunque può piacere o non piacere. Non credo infatti che ci si trovi di fronte a un capolavoro letterario.
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a me invece il libro ha causato delusione sia perché l'ho trovato un modesto giochetto narrativo per una 'dimostrazione' ideologica, sia per la costruzione a storielle incatenate, per cui non vi è lo sviluppo di una vicenda né approfondimenti psicologici.
Ovviamente, nel pieno rispetto di chi ne ha opinione diversa.