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Il carattere è destino
Quanto aveva ragione Novalis con il suo detto “Carattere è destino”! nessuno può saperlo meglio di Micheal Henchard, il protagonista de “Il sindaco di Casterbridge”, bellissimo e tragico romanzo di Thomas Hardy, pubblicato nel 1886, qualche anno prima del più famoso “Tess dei d’Urberville”.
Una vita segnata già dall’età di ventun anni, quando, in cerca di fortuna con la propria famigliola, giunge nella contrada di Weldon-Priors, nel Wessex, in una tenda frequentata da altri avventori, si ubriaca e vende la giovane moglie ad uno sconosciuto, un marinaio di passaggio che era entrato proprio nel momento in cui lui, Micheal Henchard, aveva detto “ebbene...aspetto un’offerta. La donna non mi serve. Chi la vuole?”. Una rapida occhiata alla graziosa donna per capire che l’avrebbe salvata dalla tristezza a cui era condannata e la contrattazione era avvenuta dietro pagamento di contante sonante.
Il pentimento, amaro, giunge troppo tardi, una volta sobrio.
Il giovane, dopo aver cercato la moglie e la bambina portate via del marinaio in quella occasione alquanto bizzarra anche se col suo consenso, scopre che sono emigrati in America e da allora, rassegnato, pensa a costruirsi un nuovo avvenire, ma prima, si reca in una chiesa e con la mano sulla Bibbia giura solennemente di vivere sobrio, di non bere più neanche un goccio di alcool, per i prossimi ventuno anni della sua vita. La storia scorre velocemente, si tratta di una trama dinamica anche se le azioni si svolgono tutte nella cittadina agropastorale di Casterbridge.
Passano diciotto anni da quel fatidico sventurato giorno, Henchard da tagliatore di fieno si è fatto strada e, conquistatosi il rispetto dei rustici cittadini di Casterbridge, ne diventa sindaco. È seduto a discorrere all’aperto davanti ad un bicchiere (d’acqua) dei problemi relativi all’ultimo raccolto con i membri del consiglio comunale, quando nella sua vita entrano i personaggi che lo accompagneranno nelle vicende successive, cambiandogli di nuovo la vita. In peggio.
La sua ancora legittima consorte Susan torna dall’America, “vedova”del marinaio con una ragazza, Elizabeth-Jane e, nella stessa sera, incontra un giovane scozzese dalla bella voce e dal fiuto per gli affari agricoli , di nome Donald Farfrae. Qualche anno dopo giunge a Casterbridge un’altra figura femminile cui Henchard si era legato durante il primo anno di solitudine, ma che non aveva mai sposato. Ci sono tutti gli ingredienti dell’intrigo in questo romanzo che tengono incollati alle pagine.
Della trama non vi svelo nulla, vi anticipo che non tutto è come sembra ad una prima lettura. Il personaggio del sindaco è una delle figure maschili più interessanti della letteratura vittoriana, nel romanzo stesso viene paragonato al Faust “un essere cupo e veemente, che aveva abbandonato le strade degli uomini volgari, senza una luce che lo guidasse su una strada migliore”.
È sempre troppo tardi quando si rende conto che poteva trovare un’alternativa, è sempre troppo tardi quando si accorge che il suo modo di agire gli porta via il rispetto delle persone e la felicità. Ma cos’è la felicità? lo scoprirà alla fine del libro la dolce, timida, Elizabeth Jane -non posso anticipare niente!- “la felicità non era che un episodio fortuito nel dramma universale del dolore”.
Consiglio questo libro per tanti motivi: lo stile di Hardy, piacevolissimo, con i suoi immancabili scenari naturalistici, macchie di colore alla maniera impressionista, strizzatine d’occhio al particolare gotico (cimitero, il circo romano di Casterbridge avvolto nella nebbia), l’analisi più matura e ponderata della psicologia del protagonista, rozzo, ma sincero.
La decadenza di un uomo che ha passato la vita dedito all’ambizione oscurando gli affetti. Scenari, personaggi,visione tragica dell’esistenza che ricordano i “vinti”di Verga.
Per me, il libro di Hardy più bello di sempre.
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