Dettagli Recensione
Attenti al lupo
Gran bella fortuna godere del privilegio di nascere in una bella famiglia, ricca nei mezzi e prodiga di buoni sentimenti.
Ne consegue che, con facilità, cresci libero, sano, forte, circondato da amore, non ti manca nulla per essere felice: cibo ottimo e abbondante, un tetto e un riparo caldo, affetti, pace, serenità.
Poi un giorno qualcosa all'improvviso gira storto, e tutto cambia.
Sei strappato a forza dalla tua famiglia, dai tuoi affetti, da tutto quanto di comodo, di caldo, di sicuro la vita ti aveva finora riservato.
Per la prima volta, incontri la violenza, la cattiveria, la brutalità, crudele e bestiale.
E ti fa male, ti fai male, soffri un dolore che mai in vita tua neanche avresti immaginato che potesse esistere. Non lo conoscevi, non lo avevi mai provato, non ne avevi menzione, è una scoperta atroce.
Un dolore che ti strazia la carne e ti annichilisce l’anima, sei disposto a fare qualsiasi cosa, a obbedire a qualunque ordine, a perdere ogni e qualsiasi traccia di dignità, perché dolore, umiliazione, strazio abbiano termine.
Magari sei anche grande e grosso, ma sei completamente impreparato all'evento, niente e nessuno ti avevano mai solo prospettato un simile disumano modo di essere: sopraffatto, prevaricato, brutalizzato. Non sai neanche come reagire, sei confuso, disorientato, anche paralizzato e incapace.
Allora, hai due scelte: o subisci, una volta per sempre, e ti adatti a gestire l’esistenza sempre in posizione sottoposta, attento a schivare le botte e ad accontentarti che non te ne siano distribuite troppe. A leccare la mano che, come ti sfama può, a suo piacimento, colpirti brutalmente se non ti adegui a ogni ordine impartito, fosse pure per capriccio, se non ti sottometti, letteralmente ti genufletti, senza discutere, con obbedienza piena e assoluta: e così, solo così, hai davvero molte speranze di cavartela.
Senza mai alzare la testa, naturalmente, ma ti è dato di sopravvivere, anche bene, date le circostanze.
Oppure…oppure puoi reagire. Certo, questo ha un prezzo. Serve coraggio, cuore e testa.
Un prezzo assai doloroso da pagare, in termini di orrore ancora maggiore di quanto già elargitoti.
Senza sconti di alcun genere. Un prezzo di botte, di torture, di fame, di umiliazioni, di testa chinata, di reiterate sconfitte, per un numero imprecisato di volte.
E però…e però, se sei davvero tosto, veramente deciso, fortemente determinato a imparare, se apprendi e fai tesoro di quanto assorbi, se osservi e impari a gestire quanto ti viene mostrato, se sei disperatamente disponibile a non tollerare oltre le cose che ti vengono imposte, a batterti per questo ed a morire nel tentativo, ma a non subire ancora un qualsiasi tipo di oltraggio fisico e morale, ecco, allora hai una probabilità. Una sola, bada, non ne avrai altre.
L’unica…quella che devi farti necessariamente bastare, per vincere.
Per reagire, per restituire colpo su colpo, per divenire il più feroce, il più crudele, il più bestiale, in definitiva, in quest’ambito, il Migliore.
Quello di cui gli altri hanno paura, colui che temono, da cui pur di non subire dolore e mortificazioni, si sottomettono senza discutere.
Perché lo riconoscono superiore, più spietato, invincibile, il capo supremo e indiscusso.
Insomma, come si suol dire, quello che non ti uccide, ti fortifica. Se però scegli tu di fortificarti.
Se hai talento e fortuna, e l’indole necessaria a cambiarti tuo malgrado in qualcuno che mai avresti pensato di essere, se non soccombi alla violenza delle bestie, divieni tu per primo una belva temuta dalle più violente delle bestie.
Quanto detto vale per qualsiasi essere vivente, per un uomo o, perché no, anche per un cane.
In estrema sintesi, questo è il senso del “Richiamo della Foresta”, celeberrimo romanzo breve di Jack London, autore di vari e fortunati libri come “Zanna bianca”, “Martin Eden” e racconti quali “Batard”, e “Preparare un fuoco”.
London è stato considerato a lungo, e a torto, uno scrittore per l’infanzia, ed in effetti devo confessare che anche per me è stato così, l’ho letto la prima volta che ero un bambino.
Non è stato in verità il primo libro che ho letto in assoluto, quest’onore è toccato, infatti, allo smielato e melenso “Cuore” di Edmondo De Amicis, neanche un cattivo libro questo, se vogliamo, ma era una lettura pressoché imposta, da leggere e far leggere il prima possibile ai bambini della mia generazione, gli era attribuito un potere pedagogico irresistibile, evidentemente, intriso com’ è di buoni sentimenti e racconti esemplari del vivere civile.
“Il richiamo della Foresta” e poi anche gli altri citati di London, però, è stato il mio primo libro “bello”, il primo cioè che ha concorso, se non contribuito in massima parte ad instradarmi ai piaceri incommensurabili della lettura.
Perciò sono grato al testo, all'autore, e al protagonista, il cane Buck.
Al quale ultimo devo, probabilmente, anche il mio amore per i cani: il mio primo cane volevo infatti chiamarlo Buck, solo dopo qualche resistenza mi feci convincere a chiamarlo in modo più originale…Lupo, trattandosi di un pastore tedesco.
Buck è un bell' esemplare di cane, un incrocio tra un San Bernardo e un pastore scozzese, il pet beniamino di una ricca famiglia californiana.
Un bel cagnone grande e grosso quanto mansueto, idolo dei bambini di casa, ben trattato e coccolato da tutta la famiglia.
Sono gli anni della celebre “corsa all'oro” appena scoperto in Klondike, nell’America del tardo ottocento, e Buck è un esemplare prezioso perché adatto a essere utilizzato come cane da slitta, ricercatissimo all'epoca per quei climi dove si avventuravano i cercatori del prezioso metallo. Rapito quindi da loschi individui a scopo di lucro, e venduto a crudeli addestratori, è sottoposto a ripetute e letteralmente bestiali violenze, volto a fiaccarne la resistenza e a trasformarlo in un obbediente cane da tiro, una vera e propria macchina di carne, usa ad essere impiegato in faticose corse sulla neve senza reticenze e ribellioni di alcun genere.
Da parte di chicchessia: perché la legge del più forte, e del più crudele, vale non solo per il suo padrone, che lo sottomette spietatamente alla sua legge con le botte inferte crudelmente con il bastone, ma anche per i suoi simili.
Il capobranco, infatti, con le sue zanne, non è da meno per violenze e sofferenze, impone la sua legge, predomina sui suoi simili, distribuisce a suo piacimento onori e oneri.
La crescita di Buck, la sua emancipazione, il suo rivalersi, il suo affermarsi come vincente passa proprio attraverso un progressivo fortificarsi, fare tesoro delle esperienze cui la sorte l’ha costretto, per riuscire vincente nella lotta contro i dettami di queste violenze portate dal bastone e dalla zanna.
Vincerà sul bastone, finendo per legarsi, anzi fa di più, finendo per affezionarsi a un padrone finalmente degno dell’appartenenza al genere umano e non a quello bestiale.
Vincerà sulla zanna, finendo per spodestare il capobranco divenendo lui stesso prima guida della slitta.
Sembra sia giunto per Buck finalmente una stagione della vita a misura naturale; e però, anche stavolta, un destino avverso si pone di traverso sulla felicità del bravo animale.
Proprio una tribù di pellerossa, che per il loro stile di vita dovrebbero apparire più vicini alla Natura, e alla sua empatia per i viventi, si dimostrano bestiali come un qualsiasi bieco umano dalla pelle bianca, trucidando il suo nuovo, caro e unico amico uomo rimastogli.
Lo vendicherà, Buck, facendo giustizia, dopodiché tra il ritorno e una civiltà forse più confortevole ma di sentimenti bestiali e una Natura dove esiste ugualmente la violenza ma mai gratuita e insensatamente crudele come tra gli umani, Buck accoglie senza esitazioni il richiamo della foresta, ritorna alle sue origini ataviche e selvagge, dai suoi progenitori, i lupi, gli unici che possono accoglierlo nella sua reale dimensione, a misura di un cuore buono e generoso, violento il giusto.
Perché il lupo descritto nelle favole non esiste, non è un lupo cattivo, è semplicemente un animale a misura di foresta; dentro e fuori di questa, i veri mostri hanno solo due zampe.
Un buon libro, dalla morale semplice e diretta, quindi un romanzo breve sempre attuale, direi.
Non una favola, ma un’ottima storia, adatto a chiunque, un piccolo gioiello scritto bene, in maniera semplice, chiara, fluente eppure “sentita”.
London descrive con delicatezza e poesia tanto i panorami naturali quanto il cuore dell’animale, i suoi pensieri, le sue sensazioni, oserei dire i suoi sentimenti.
Questa sua abilità gli deriva, a mio parere, dal grande amore da egli nutrito per la Natura, e per tutti i sui rappresentanti in fauna e flora.
Da come scrive, sono convinto che a London stesso dispiacesse far parte della razza umana, non avrebbe affatto disdegnato di seguire anch'egli, d’istinto, un a lui più congeniale richiamo della foresta. Non sarebbe stato il solo, lo avrei seguito volentieri anch'io.