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Bartleby lo straniero
Seppur ambientato nella Wall Street astro nascente della finanza mondiale, il racconto pare un ibrido di atmosfere Dickensiane e kafkiane, che contribuiscono enormemente al senso di straniamento di cui queste pagine sono pregne.
Nell'edizione Feltrinelli che ho acquistato, un buon terzo delle pagine è occupato dalle interpretazioni che i critici, nel corso degli anni, hanno dato di questo racconto. La sua peculiarità, infatti, sta nell'inafferrabilità di ciò che ci viene raccontato e soprattutto in quella del suo protagonista, Bartleby, il cui assurdo comportamento è il motore che spinge il lettore ad andare avanti d'un fiato, ma che ha anche infuocato gli animi degli intellettuali che a quel "avrei preferenza di no" hanno provato a dare tutte le spiegazioni possibili.
Il lettore spera che il dipanarsi degli eventi possa fornirgli una spiegazione, magari celata nel background di Bartleby, ma proprio alla fine del racconto gli verrà esplicitamente detto che lo stesso narratore non ne sa nulla, e forse neanche lo stesso Melville si è mai sognato d'immaginarne qualcosa. L'unica informazione che ci è data sapere riguarda un precedente impiego di Bartleby in un ufficio di lettere smarrite, probabilmente indirizzate a persone decedute che non hanno avuto modo di riceverle; contenenti magari un anello, o una banconota inviata con la più sollecita carità. “Inviate per le occorrenze della vita, queste lettere vengono alla morte”, ci dice Melville: un mestiere dunque distruttivo per uomini propensi "al pallido pensiero dell'irreparabile", alla cui schiera il narratore finisce per collocare l'insondabile Bartleby. A nessuna conclusione certa, tuttavia, si è potuto giungere sulla sua natura.
Qualcosa di quest’opera mi ha fatto venire in mente (e a quanto pare anche a qualche critico) Camus e il suo Straniero: un uomo totalmente indifferente al mondo e a quel che nell'immaginario collettivo è considerato importante. In Bartleby ho notato la stessa passività e inerzia, che tuttavia non è segnata da un’incapacità di invertirne la tendenza come per Meursault, bensì un netto seppur pacato rifiuto, espresso nella ripetizione ossessiva della frase "avrei preferenza di no", applicata praticamente al 99% delle questioni umane all'inizio, al 100% alla fine. Vita compresa. Ma a cosa è dovuto questo rifiuto? Il lettore ci si arrovella, ma per lui come per tutti è impossibile arrivare a una conclusione certa.
“Il vincolo della comune umanità mi trascinava ora irresistibilmente verso una cupa tristezza. Una malinconia fraterna! Giacché sia io che Bartleby eravamo figli d’Adamo. Mi sovvenni delle sete lucide e dei volti smaglianti ch’avevo visto quel dì, in abiti festivi, naviganti come cigni in quel Mississippi che è Broadway; e li confrontai col pallido copista, e dissi a me stesso: Ah, la felicità corteggia la luce, perciò noi crediamo allegro il mondo; ma la miseria si nasconde da lungi, perciò crediamo non esista miseria.”
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io devo ammettere che mi hanno aiutato e interessato molto le considerazioni fatte dai critici nel corso degli anni, che oltretutto dicono cose anche molto contrastanti tra loro, anche nei semplici giudizi sul gradimento. Il personaggio è sicuramente passivo, ma è ovviamente una cosa voluta e che a mio parere va interpretata. Sono piuttosto certo che questa mancanza d'indagine sia una scelta precisa di Melville: Bartleby è l'incarnazione di un concetto. Non è ovviamente qualcosa che si possa afferrare con la semplice lettura... occorre uno studio. Prefazione e giudizi critici aiutano in questo senso.
Per quanto riguarda il racconto in sé, io l'ho divorato perché volevo assolutamente conoscere i motivi dei comportamenti di Bartleby... il fatto che non sia stato accontentato, assurdo ma vero, non mi ha tuttavia deluso. È difficile da spiegare, ma penso che mi sia piaciuto proprio per questo.
grazie.
Ti consiglio di leggere anche questo, perché a me è piaciuto molto. Come dicevo prima, tuttavia, procurati un'edizione che abbia anche un approfondimento critico e quantomeno una prefazione o postfazione: ti aiuterà ad apprezzarlo.
Moby Dick un capolavoro, soprattutto nelle parti che non si concentrano sulla baleneria.
cavolo, da adolescente eri una temeraria! Pur avendo amato la scrittura e le parti in cui non si soffermava troppo sulla baleneria, devo ammettere che "Moby Dick" non è stato una lettura semplice.
Ho adocchiato l'edizione di cui parli, e mi attira molto. L'edizione che ho io è la Feltrinelli tradotta da Ceni... cavolo, però Pavese... mi sa che la metto in wishlist :)
ti consiglio di leggerlo, anche perché leggere una tua recensione su un romanzo del genere credo sarebbe molto interessante. Bartleby è effettivamente un personaggio affascinante e non mi stupisce abbia ispirato altre opere letterarie. Nel frattempo mi segno quella che hai citato.
Interessante anche questa sindrome... approfondirò. Mi fa pensare parecchio, sul serio!
grazie. Vabbè lo sai, ci troviamo spesso d'accordo :)
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