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Il cuore e le sue (incomprensibili) morali
Verso la Austen ho sempre nutrito una caterva di pregiudizi. Questo romanzo, ahimè, li ha confermati – quasi – tutti.
Pubblicato per la prima volta nel 1811, racconta le traversie della nobile famiglia Dashwood, originaria del Sussex, in Inghilterra. Alla morte del padre, le tre sorelle e la madre si vedono privare dell'eredità (spettante al fratellastro John e alla sua detestabilissima moglie, Fanny Ferrars), costrette ad abbandonare Norland Park e a rifugiarsi in un piccolo cottage nel Devonshire, tra le colline.
Elinor è la sorella maggiore; è anche la più razionale, dotata di acume e di una perspicace intelligenza che fanno di lei la "consigliera" della madre, frenandone gli impulsi. Marianne è più simile alla genitrice - romantica e passionale – portata a vivere all'estremo ogni sentimento, senza moderazione. Margaret, la minore, ha un ruolo insignificante, tanto da chiedersi il perché sia stata inserita nella narrazione, dato che nell'arco della storia farà timidamente capolino solo due o tre volte.
Punto nevralgico del romanzo sono le pene d'amore delle sorelle Dashwood.
Il raziocinio di Elinor vacilla e si piega di fronte a Edward Ferrars, fratello minore della cognata; in seguito, con grande sgomento della protagonista (e del lettore) si scopre essere promesso a un'altra signorina, Lucy, classica arrampicatrice sociale la cui perfidia è genetica. Benché la Austen si ostini a definirlo come "un giovane timido ma intelligente, dal cuore aperto e affettuoso", Edward altri non è che un rammollito, succube di una madre dispotica e per questo incapace di compiere una scelta decisa tra le due donne – salvo nell'ultimo capitolo, giusto per imbastire uno stucchevole lieto fine. A pagare le conseguenze della sua ignavia è naturalmente Elinor, condannata a soffrire in religioso silenzio per tutto il romanzo.
La vena ingenuamente romantica di Marianne è invece scalfita dal giovane Willoughby, seducente e consumato corteggiatore, il quale, dopo pochissimi mesi di frequentazione, la illude su un possibile matrimonio. Peccato che, a un passo dal concretizzarlo, si professerà vincolato a un'altra donna (ricca e, per questo motivo, assai più appetibile), notizia giunta alla destinataria tramite lettera. Umiliata da quello che credeva fosse il Grande Amore, Marianne dà sfogo al suo dispiacere torturando il povero lettore con pietose scene isteriche ed elucubrazioni mentali. Purtroppo, anche per Willoughby ci sarà una sorta di "riscatto" finale, nel quale l'autrice gli condona tutte le malefatte attraverso una confessione strappalacrime che Elinor, vera martire della faccenda, è costretta a sorbirsi all'insaputa della sorella, lasciandosi intenerire.
L'unico in grado di suscitarmi simpatia, dotato di quel po' di dignità che agli altri personaggi manca, è il Colonnello Brandon, sinceramente innamorato di Marianne fin dalle prime pagine, e da lei scansato con la medesima intensità (fatta eccezione quando, rinsavita dal delirium, accetterà di sposarlo).
Conoscendo la fama della scrittrice, mi aspettavo di meglio. Potrei elogiarne la penna, arguta e deliziosamente ironica, ma non di certo la fantasìa, tantomeno i personaggi che la popolano, frivoli e noiosi (salvo rare eccezioni). Se l'intento era quello di restituire al mondo l'immagine di due donne forti e indipendenti, capaci di svincolarsi dal ruolo georgiano di "angeli del focolare" poiché libere di manifestare le proprie inclinazioni, allora lo ritengo un totale fallimento. Altro non sono che due povere anime sottomesse ai capricci del grande Dio Maschio che, con una sorta di masochismo intrinseco, perdonano e (cosa ancor più terrificante) giustificano.
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Concordo sulla prosa, non è delle più facili; ecco perché mi aspettavo venisse "stemperata" da una trama intensa e accattivante.
Per mio gusto personale, purtroppo, così non è stato.
Capitasse nella vita di leggere altri suoi romanzi, potrò forse rivedere l'opinione che attualmente ho della scrittrice (bassa).
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Non amo i romanzi romantici e la Austen è una delle poche autrici che ho letto che non mi ha dato quella solita sensazione troppo stucchevole. Ricordo che quando ho letto Ragione e sentimento l'ho trovato un po' ostico per appunto alcune scene troppo troppo lunghe e sentimentali. Però ricordo anche quanto mi era piaciuto il personaggio di Elinor che nella sua mitezza mi trasmetteva forza, che portava avanti la famiglia e aveva più senno della madre e delle sorelle. Nel personaggio di Edward non ho visto un rammollito, ma un uomo che cercava di tenere testa alla madre in un'epoca in cui tutti i matrimoni era combinati e i figli come le figlie erano di proprietà dei genitori.
Ovviamente non tutti proviamo le stesse sensazioni leggendo ma questo romanzo secondo me non è così semplice da affrontare!