Dettagli Recensione
L'uomo contro la natura
Il respiro dei classici, ampio, profondo, dettagliato e immortale, ripaga sempre. Era da un po' che non ne facevo ritorno seppur prima leggevo praticamente solo classici e snobbavo i contemporanei. Poi sono passata dall'altra sponda, allontanandomi dalle opere del 1950 in giù, figuriamoci da quelle ottocentesche come questa, però la mancanza si è fatta sentire ed eccomi qui con Victor Hugo, "I lavoratori del mare" pubblicato nel 1866.
Un classico! Poco noto o meglio, poco letto nel panorama letterario di Hugo, sono altre le opere che godono di maggio successo e fama ma non per questo meno bello o meno importante. Anzi. Di cosa parla questo libro? Già il titolo è significativo, si parla dell'uomo e della natura e quindi del rapporto tra i due, spesso una lotta. Ma si parla anche di amore e delle caratteristiche dell'uomo, nonché della geografia della Manica, della popolazione che abitano le isole e dei venti che in quel stretto agitano le acque. Come vedete, non ci si annoia. Andiamo per ordine.
Innanzitutto leggendo questo libro non ho potuto non ricordarmi di Moby Dick di Melville! Mi assumo la responsabilità di affermare che "I lavoratori del mare" rappresenta una sorta di "Moby Dick" europeo, tra l'altro scritto poco prima: la natura e in particolare il mare e gli scogli, l'uomo e il suo ardore e le sue ossessioni o passioni, la sfida che un singolo uomo lancia alla natura (Achab vs. Gilliat), la lotta di esso con la natura e con creature che ne fanno parte (lotta con la balena vs. lotta con la piovra), e dulcis in fondo l'epilogo di questa passione. Questo però è solo una struttura comune, uno scheletro a opera scomposta, l'insieme gode ovviamente della sua unicità e bellezza e si discosta dall'opera americana.
Scritto in seguito all'esilio dell'autore che ha dovuto passato un bel po' di anni sull'isola Guernsey, questo libro è una sorta di inno a quelle terre, un omaggio a quelle isolette della Manica e ai loro abitanti. Ma anche un inno dedicato alla natura in generale e la cosa che mi ha molto colpito è che già allora Hugo ha previsto il danno che l'uomo porta alla natura con l'avvio della prima rivoluzione industriale, che Hugo sottolinea molto accuratamente. Il primo battello a vapore, diavolo e fonte di guadagno e ottimizzazione: a partire da quei tempi la natura non ha più avuto tregua e se certe ipotesi a Hugo sembravano impossibili, oggi sono diventate quasi realtà e qui mi riferisco al cambiamento climatico. Attualissimo sotto quest'aspetto.
Poi abbiamo il fascino della natura, che Hugo la impersona: da padrona fa il Mare che colloquia, litiga, aiuta, diventa furiosa, ammonisce e compatisce l'uomo, Gilliat. Due forze che si scontrano, una per la sua stessa natura, l'altro per le sue passioni. Un uomo che compie un'azione impossibile eppure Hugo la rende verosimile attraverso i dettagli. Gilliat è il superuomo di Hugo, così come lo è stato Jean Valjean ne "I Miserabili". Gilliat lotta contro la natura, Jean Valjean contro la società, una più spietata dell'altra.
Infine c'è l'amore, la passione, che rappresenta il motore che mette in scena tutta questa faccenda. Dietro ogni grande impresa abbiamo l'amore e la passione e, soprattutto in Hugo, il sacrificio.
Sulla prosa c'è da dire poco: rassicurante, colta, intelligente e profonda, alcune volte pecca un po' per i troppi dettagli e per i sinonimi che Hugo usa per fissare un concetto ma nel compresso è ineccepibile. Grande lettura.
“L'uomo spaventa il mare: ma questo diffida di lui e gli nasconde ciò che è e ciò che fa. Tra gli scogli è tranquillo: L'uomo non ci arriverà. Il monologo dei flutti non sarà turbato. Il mare lavora intorno allo scoglio, ne ripara i guasti, ne aguzza le punte, lo fa irsuto, lo rimette a nuovo, lo conserva in buono stato. Intraprende il traforo della roccia, disgrega la pietra tenera, mette a nudo quella dura, toglie la carne, liscia le ossa, fruga, disecca, fora, buca, costruisce canali, fa comunicare tra loro i condotti, riempie di celle il granito, imita in grande la spugna, scava l'interno, scolpisce l'esterno. Esso si fabbrica, in questa montagna segreta, antri, santuari, palazzi. E vi possiede una strana vegetazione, insieme splendida e schifosa, composta d'erbe galleggianti che mordono e di mostri che si abbarbicano; tutta questa orrenda magnificenza esso tiene nascosta nell'ombra dell'acqua.”
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Daniele, Il conte di Montecristo è un classico superbo, io l'ho amato moltissimo. di una dinamica impressionante e nonostante la mole non rallenta mai, e dico mai! In genere tendono ad essere dei momenti più lenti nei romanzi lunghi ma Il conte fa eccezione, adrenalina dalla prima all'ultima pagina. Pero! Però! Tuttavia, rispetto ad altri romanzi ottocenteschi, l'introspezione psicologica viene un po' meno, prevale soprattutto l'azione, e quindi come dici tu, leggero. Ps: innamorata di Edmond Dantes :-)))
Non ho letto questo libro; suppongo però che l'autore rappresenti già una garanzia.
Bellissima la copertina, sicuramente tratta da un dipinto di Turner, fra i miei pittori preferiti.
Mi viene in mente un esempio, con cui forse è più facile essere chiari: pur avendo apprezzato "La strana storia del dr. Jekill e di Mr. Hyde" o "L'isola del tesoro", continuo a ritenere "Il signore di Ballantrae" uno dei capolavori assoluti di R.L. Stevenson... Il bello è che è completamente sconosciuto dai più :)
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