Dettagli Recensione
«Se domani fa bel tempo»
"Gita al faro" di Virginia Woolf è una lettura tutt’altro che semplice, piacevole o scorrevole. Per la maggior parte del tempo è incredibilmente complessa, confusa e sfuggente. La trama, esilissima, lascia spazio (anche troppo) alla minuziosa introspezione psicologica dei personaggi. Il flusso di coscienza ininterrotto che mette a nudo ogni singolo pensiero è difficile da seguire e in un attimo si perde il filo e ci si ritrova smarriti in riflessioni che appaiono senza né capo né coda. La lentezza estrema della narrazione, poi, non aiuta a tenerne le fila, ma anzi appesantisce la lettura e favorisce la distrazione.
Per il virtuosismo stilistico, una prosa che quasi sfiora il lirismo della poesia, la struttura sperimentale che riduce al minimo la trama e lascia spazio al mondo interiore dei personaggi, "Gita al faro" è senza dubbio un classico di importanza innegabile per la storia della letteratura, travagliato frutto delle fatiche di una dei più grandi autori del XX secolo che proietta le vicende della propria infanzia nella vacanza alle Isole Ebridi della famiglia Ramsey. La scrittura è raffinatissima nel tracciare quasi con commozione il ritratto dei coniugi Ramsey, specchio dei genitori dell’autrice: lui un intellettuale debole, egoista, vanitoso, che nega una gita al faro al figlio bambino con la scusa del tempo, lei madre dolce, amorevole, attenta ai bisogni di tutti («Sì, certo, se domani fa bel tempo» promette al piccolo James, che chiede ansiosamente se l'indomani potrà vedere il faro), una figura statuaria, seducente, dalle mille sfaccettature, vero perno della narrazione che lascia dietro di sé un vuoto desolato quando svanisce, forse incarnazione del senso classico del racconto che il romanzo novecentesco sta ormai perdendo a favore dell’esplorazione di nuove strade.
Intorno ai Ramsey, nella loro casa delle vacanze, ruotano diversi personaggi secondari tra i quali spiccano Charles Tansley, piccolo studioso discepolo del signor Ramsey, convinto che le donne non sappiano eccellere in nessuna forma d’arte e costantemente impegnato ad autocelebrare se stesso per essersi "fatto da solo", forse portavoce di convinzioni maschili che Virginia Woolf deve aver ascoltato più volte nel suo percorso di scrittrice e intellettuale, e la giovane e tormentata pittrice Lily Brascoe, personificazione dell’autrice e testimone di quanto il travaglio che genera la creazione artistica possa essere difficile e avvilente. L’immersione nelle loro menti è altrettanto faticosa, pesante, farraginosa, e tuttavia il risultato è arte. In questo romanzo Virginia Woolf mostra la capacità straordinaria, come tutti i "grandi", di scandagliare l’animo umano fin nelle pieghe più sottili e nascoste, portando alla luce tormenti, desideri, paure, amarezze, inquietudini, tutta la banalità di quella massa viva e pulsante che è l’esistenza umana. "Gita al faro" non sarà una lettura piacevole e scorrevole, dunque. Non sarà il romanzo ideale se si cercano divertimento, evasione e vicende appassionanti. Ma un capolavoro che scava l’anima, questo sì, lo è.
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Per quanto mi riguarda, lo considero fra i romanzi che mi sono piaciuti di più, in assoluto. E questo per vari motivi che hai citato. Per me è stata una lettura piacevole.