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Un classico dal contenuto non arcaico
Per noi, uomini e donne abituati ad essere sempre connessi con il mondo e ad avere nell’immediato una risposta a qualsivoglia quesito utilizzando solo una tastiera, esercitare la virtù della pazienza è diventato sempre più complesso. Pensare addirittura di cimentarsi nella lettura di un libro che superi le trecento pagine è ancora più arduo. Se poi questo voluminoso scritto è annoverato tra i classici della letteratura mondiale ed ha visto più di duecento primavere, allora l’impresa diviene impossibile.
Ma siamo così sicuri che i Fratelli Karamazov sia un’opera così complessa, ermetica ed anacronistica?
Quando mi sono avvicinata a questa lettura, l’ho fatto tenendo in mente questa domanda, una sorta di preconcetto basato sul pregiudizio ormai dilagante in una società annoiata ed assuefatta a ben altri tipi di libri. Poi, però, pagina dopo pagina, mi sono resa conto di quanti elementi di originalità è possibile cogliere, aldilà dei numerosi quesiti morali che essa solleva, ma sui quali non mi soffermerò perché altri prima di me e con ben altro spessore letterario hanno già analizzato.
Il primo elemento di modernità sta nella descrizione della famiglia. Un personaggio minore, un conoscente di Alesa, dirà di loro: “Voi Karamazov siete folli, sensuali ed avidi”. La follia, la sensualità e l’avidità animano in maniera diversa i quattro protagonisti, tutti di sesso maschile, le cui vicende umane sono sapientemente messe in luce dalla penna indagatrice dell’autore. Fedor, il padre, è il lussorioso che pensa solo al soddisfacimento della carne e addirittura non si fa problema ad abusare di una ragazza insana di mente. Dimitrj è il giovanotto che non riesce a contenere quella rabbia antica derivante dal non essere stato amato e coccolato da bambino e straripa in atti di aggressività incontenibili, pur pentendosene in quanto non animato da un cuore di tenebra. Ivàn è l’intellettuale che crede di incanalare quello stesso vecchio risentimento nella cultura, ma, ahimè, non riesce a liberarsene tanto da ammalarsi. Alesa è la “colombella” candida, come viene definito da Fedor, che solo verso di lui riesce a mostrare un briciolo di sentimento. E’ l’eroe per eccellenza, eppure io ritengo che sia stato pervaso dallo stesso umano sentire dei fratelli, ma con una grande differenza: egli è riuscito a trasformare quel senso di abbandono in virtù mediante l’esercizio della fede sincera, quella che sgorga dal cuore e si traduce in atti di carità verso il prossimo. E poi c’è lui, Pavel, meglio conosciuto come Smerdjakov, dall’epiteto attribuito alla sventurata madre violentata. Questi vive nell’ombra della cucina, si serve del mal caduco per compiere atti orribili, utilizza sapientemente remissione e persuasione per rendere docile chi lo circonda.
Un ritratto di una famiglia divisa, allargata, perché i quattro ragazzi sono figli di tre madri diverse, complessa, ma che sa riunirsi nel momento più difficile.
Il secondo elemento di attualità è un modo di intendere la spiritualità molto problematico, irto di domande e non dogmatico come ci si aspetterebbe da un libro scritto nell Russia ortodossa della seconda metà dell’Ottocento. Dostoevskij utilizza Alesa, Ivan, Dimistrj ed il vecchio Fedor per domandarsi quale sia il ruolo reale del divino nella nostra vita. Come possiamo conciliare gli atti che compiamo nel quotidiano con quell’afflato verso le cose di lassù che in maniera atavica caratterizza l’uomo? E soprattutto quale missione ha in mente Dio per ogni sua creatura? Lo starec Zosima tenterà di rispondere a questi quesiti, eppure, di fronte al destino atroce che attende Dimitrj dopo poche ore, rimane impietrito e non può fare altro che inginocchiarsi perché non ha più risposte, pur nella sua sapienza.
Il terzo e soprendente motivo di modernità risiede nel finale. Un finale aperto, che lascia aperti gli scenari di vita di Ivan, Alesa e Dimitrj, ma che soprattutto meraviglia il lettore, il quale è costretto a porsi degli interrogativi. Che cosa accadrà a questi ragazzi che abbiamo seguito, amato o “odiato”, nelle cui gesta ci siamo identificati o da esse allontanati, il cui cuore ci è stato manifestato grazie ad una scrittura che taglia come il bisturi?
Non c’è dunque bisogno di andare alla ricerca dell’ultimo caso letterario per cercare questi elementi. Essi sono tutti sapientemente condensati in questa vera opera d’arte, che, non da ultimo, contribuisce ad arricchire il vocabolario di chi legge con periodi ben strutturati e termini forse aulici per l’uomo di oggi, ma dal fascino irresistibile.
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E' uno dei grandi libri dell'eccellente scrittore russo. Voglia di rileggerlo.
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