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ichigo ichie
Lui indossa la divisa scolastica, il kimono e’ blu e bianco, lo zaino in spalla. I geta di legno di betulla picchiettano sul sentiero di montagna, mentre la pioggia imbianca le foreste di criptomerie.
Lei indossa l’abito di scena, una bimba esile con gli occhi truccati di rosso. Quei capelli, tanto belli da sembrare finti, incorniciano gli occhi luccicanti ed immobili, nemmeno un battito delle lunghe ciglia mentre lui, lì accanto, le legge un racconto.
Questa l’immagine di una storia d’amore che non e’ mai esistita, perche’ Kawabata si fermo’ alla crisalide. Privi della vicenda amorosa, ne avvertiamo il battito che avrebbe fluttuato in cielo come un aquilone rincorso da una rondine, se mai fosse nato. Orfani di un sentimento negato al mondo, lasciamo che una barca ci trasporti lontano, dondolando su acque quiete, avvolti dalla fredda nebbia malinconica della fine di un amore che è stato solo suggestione.
Non bastasse la grazia di questo breve scritto, la conferenza che occupa meta’ del volumetto e che Kawabata tenne ad Honolulu nel 1969 sarebbe un motivo sufficiente per armare la mia zattera e solcare oceani a ritroso nel tempo, alla ricerca di quel giorno ormai perduto.
In essa egli spiega la sua visione di bellezza ed il suo nazionalismo, ossia la ricchezza culturale che appartiene ad ogni Paese e la nobiltà del popolo capace di tutelarla e diffonderla agli stranieri. Ovunque esiste una beltà esclusiva, per chi abbia il dono di trovarla ogni attimo e’ unico ed irripetibile: ichigo ichie.
Particolarmente emozionanti i riferimenti a La storia di Genji di Murasaki Shikibu e Le note del guanciale di Sei Shonagon, per chi abbia letto le due antiche opere giapponesi il commento di Kawabata -intriso di stima per le due scrittrici- e’ irrinunciabile.
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