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Fuori corso
V. Blasco Ibáñez è considerato l’ultimo dei romanzieri realisti spagnoli, quelli sulla scia di Galdós per intenderci, nome importante, autore di veri e propri successi letterari oltre che una personalità di spicco nella Spagna di fine ‘800. Fu deputato, antimonarchico, fondatore del quotidiano ?? El pueblo?? e la sua fama è spesso associata a pellicole celebri quali “Sangue e arena” e appunto “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”. La sua scrittura fu certamente poliedrica ma anche criticata, soprattutto quando eccessivamente tesa al melodramma.
“I quattro cavalieri dell’ Apocalisse” è un romanzo sulla guerra, scritto durante la guerra, concepito nel 1914 sull’ultimo transatlantico tedesco che toccò le coste francesi prima dello scoppio del conflitto, quando l’orgoglio delle grandi potenze ventilava l’ipotesi di una guerra veloce, di una guerra preventiva, igienica e necessaria. Nasce, nella sua crudezza realistica - quella che rappresenta le azioni belliche appunto- non da una fervida immaginazione ma dall’esperienza diretta che il suo autore fece del conflitto in qualità di inviato speciale, dopo la prima battaglia della Marna, non per i giornali, ma per la nazione. L’ incarico infatti lo ricevette dal Presidente Poincaré, con la raccomandazione di farne materia di un romanzo che servisse la causa degli Alleati rappresentando l’atrocità delle operazioni belliche. Si legge in realtà un sentito odio per i tedeschi, per gli invasori, comprensibile a livello umano e sicuro specchio dei sentimenti che agitarono gli animi in quel periodo, ma , se si sorvola su questo aspetto, direi troppo marcato, e si giunge a fine lettura, ci si rende conto che a questo si aggiunge un sentimento di fratellanza che accomuna francesi e tedeschi nel dolore, nella perdita, nel lutto, nella sofferenza. Il romanzo è anche un bellissimo affresco dell’Europa emigrata in Sud America, dei figli di una terra vecchia e percorsa ripetutamente da insanabili conflitti che trovano pace e soprattutto ricchezza nel Nuovo Mondo. Sono rappresentate epiche storie di conquista e di riscatto, di amore e di conflitto, tra singoli e tra famiglie, di sopportazioni e di convivenze e, stagliati sullo sfondo, personaggi ben delineati, perfettamente caratterizzati, indelebili nella mente del lettore. Figure prevalentemente maschili, vincenti e poi irrimediabilmente condannate a lenta e sofferta decadenza. Sono gauchos, sono borghesi, sono transfrontalieri, sono cittadini senza patria, sono trapiantati in una terra che li ha arricchiti e che si portano nel cuore anche quando tornano in Europa. Sono l’emblema di un vecchio continente in rovina. Molto complesse ed efficaci anche le figure femminili, tragiche eroine, ai confini di un mondo ancora prepotentemente maschile. Suggestive le pagine dedicate a Parigi, città che teme la guerra, città che fiuta il nemico, città che si prepara ad una possibile disfatta. Un romanzo di gradevole lettura, indubbiamente interessante perché riflette gli umori del tempo, privo però di quel necessario afflato lirico che lo avrebbe reso un capolavoro e purtroppo uno scritto eccessivamente nazionalista.
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Dico questo perché in letteratura considero lo stile, la scrittura, fattore determinante.