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Barabba
 
Barabba 2020-01-08 18:39:15 DanySanny
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3.8
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4.0
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    08 Gennaio, 2020
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La tentazione di credere

È sempre la luce ad annunciare il divino: la stessa luce che scompare quando Gesù, nel suo umanissimo lamento al Padre che lo ha abbandonato, esala l’ultimo respiro; è questo buio che riesce per un attimo a far pregare la terra, a rompere la certezza, a insinuare il dubbio nell’animo di Barabba, il criminale liberato, attratto inesorabilmente da quell’uomo che si proclama figlio di Dio e che pure gli sembra farneticare. La domanda che striscia tenace è talmente semplice e brutale da sembrare un’aporia: com’è possibile che l’uomo abbia condannato Dio che si è fatto carne per salvarlo? Come è stato possibile che il più giusto tra tutti, il più innocente di tutti, sia stato crocifisso? Il Golgota sarà per Barabba il punto di non ritorno, la suprema tentazione di credere a un mondo divino che annuncia la salvezza di tutti gli uomini, un paradiso che non è di là da venire, ma una promessa di felicità sulla terra. Barabba non può credere perché ogni parte della sua logica si oppone: come è possibile resuscitare i morti, guarire i lebbrosi, moltiplicare i pani e i pesci; come è possibile risorgere tre giorni dopo la morte, oltre il masso pesante che chiude il sepolcro; come è possibile che gli ultimi saranno i primi in un mondo che vive di schiavi e padroni. Tutto questo Barabba vive con l’impeto di chi vorrebbe trovare un senso oltre la vita, immaginare che la morte non sia il nulla eterno, l’annullamento di ogni possibilità, ma anche con la disillusione di chi non è toccato dalla fede. Barabba se lo chiede, lui, l’ingiusto che è sopravvissuto, lui per il quale il figlio dell’Uomo si è sacrificato mentre intorno Leporina, la giovane donna di cui si è approfittato, sfida la legge delle pietre per professare la sua fede, mentre il suo compagno di schiavitù, l’uomo cui sarà legato per anni da una catena, affronterà la legge di Roma per essere schiavo di un Dio più alto di Cesare.

Siamo partiti dalla luce, perché le forme di questo romanzo sono tagliate da un bagliore freddo, scandinavo, quello della penna di Pär Lagervist, premio Nobel nel 1951, che si immerge nella sfida inesausta tra fede e incertezza, dubbio e ateismo e lo fa ripartendo dalle domande, quelle essenziali, attaccate alla vita di ogni giorno, senza indulgere a retoriche teologiche, a speculazioni verbose. Barabba è il suo alter-ego che cerca e fallisce la parola biblica, perché Barabba è ogni lettore che scende con lui nelle miniere, che insieme a lui si muove perso nelle catacombe senza luce, in un mondo che è solo morte. Ecco, il mondo di questo libro è quello pesante, opprimente di chi non può fare altro che accertare l’indefesso materialismo della vita e sentire che la morte è solo un salto nel buio. Hanno paragonato la scrittura di Lagervist alla cruda consistenza dei dipinti di Masaccio, eppure mi pare che la similitudine più propria sia con un Caravaggio spettrale: la stessa vivida rappresentazione degli uomini, lo stesso potente fantasma della salvezza, ma qui, la luce tagliente che illumina i suoi dipinti, la parola di Dio che fa breccia nella coltre scura del mondo, fallisce il suo divino splendore e su tutto regna una densa e costante penombra.
Resta l’amarezza per un libro che avrebbe potuto essere indimenticabile e che sconta, purtroppo, uno stile tanto semplice da rischiare la piattezza e soprattuto un’impostazione della storia che non procede per trama, ma per scene, come se ogni capitolo fosse l’atto di uno spettacolo teatrale. Barabba arranca un po’ nel suo ritmo assente e fa perdere smalto alle sue difficili interrogazioni.

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Commenti

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siti
08 Gennaio, 2020
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Mi piacerebbe leggerlo, non sapevo affatto del Nobel.
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DanySanny
08 Gennaio, 2020
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Ti confesso Laura che mi aspettavo qualcosina in più, non per temi, ma per linguaggio e struttura. Però riconosco che altri potrebbero apprezzare questa schiettezza e semplicità. Sicuramente un'ottima occasione di riflessione.
Bella recensione.
Mi ha ricordato un film senza particolari pretese ma comunque ben fatto: "Il ladrone" dove, se non erro, Barabba era impersonato da Enrico Montesano. Ancor più mi ha ricordato un libro che a suo tempo ho trovato molto interessante: "Versetti pericolosi" di Alberto Maggi, dove, in chiave accessibile anche ai non religiosi, è posto un deciso accento sulle ultime parole di Cristo e sul loro significato sostanziale.
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DanySanny
09 Gennaio, 2020
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Grazie dei riferimenti!
Un'intensa recensione, Daniele.
Dell'autore ho letto solo "Pellegrini sul mare" , con una scrittura d'alto libello. Ciò che non mi ha reso non gradevole soggettivamente la lettura sono l'atmosfera piuttosto cupa e una complessità che in quel momento non corrispondevano al mio bisogno di lievità di stile pur nella profondità di scrittura.
Come vedi , non mi era facile valutarne serenamente e in modo attendibile il valore letterario, che indubbiamente c'è.
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DanySanny
09 Gennaio, 2020
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Emilio, grazie, di lui ho letto soltanto questo, ma a quanto ho capito da diverse recensioni, è un autore che cambia molto lo stile da opera a opera, tanto da non sembrare neanche lo stesso. Qui lo stile mi è parso fin troppo asciutto e una po' scarso nel lirismo, ma riconosco che ci siano scene e personaggi riusciti. Il contenuto è sicuramente un'ottima occasione di riflessione. Potrebbe essere un libro nelle tue corde, in ogni caso.
Ciao Daniele, in effetti "Barabba" è stato adattato dallo stesso autore qualche anno più tardi come testo teatrale autonomo.
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DanySanny
09 Gennaio, 2020
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Sì ho letto, forse come opera teatrale regge anche meglio.
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