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Don Giovanni in pantofole
Benito Pérez Galdós è sicuramente lo scrittore più importante della letteratura spagnola dell’Ottocento, e anche se generalmente viene considerato il narratore iberico più significativo dopo Miguel de Cervantes, in Italia gode di scarsa fortuna. L’ editoria nostrana, quella illuminata dei fratelli Treves o di Bemporad pubblicò, lui vivente, una quindicina di titoli della sua vasta produzione composta da una settantina di titoli, fra romanzi e drammi, poi ci fu un silenzio che durò fino agli anni sessanta quando la produzione filmica di Luis Buñuel riaccese l’interesse per alcune sue opere, compresa questa “Tristana”.
Fatto sta che se oggi volessimo leggere le sue opere in traduzione, ne troveremmo ben poche ed è dunque necessario un monito verso le case editrici che non cavalcano questo filone mentre i titoli oggi in circolazione sono stati curati da piccoli editori di nicchia con genuino interesse letterario.
È stata una mia recente visita, del tutto casuale, alla mostra allestita sull’autore presso la Biblioteca Nazionale di Madrid, a far in primo luogo riemergere dalla mia libreria “Tristana”, titolo che avevo letto ma di cui non ricordavo nulla per poi farmi interessare alla sua bibliografia e arrivare a scoprire amaramente quanto su esposto.
Siamo di fronte ad un grande autore che nella sua Spagna al limite dell’Europa e in pieno passaggio dalla monarchia alla prima repubblica è perfettamente in linea con la produzione letteraria del periodo: sperimenta infatti moduli realisti anticipando quelli che saranno poi quelli tipici del romanzo psicologico.
Fa apparentemente protagonista della sua opera il destino di una ragazza e la sua triste involuzione mentre in realtà congeda, a mio parere, tutta la tradizione letteraria spagnola richiamandone i suoi protagonisti maggiori : autori e personaggi. Per chi ha dimestichezza con la storia della letteratura spagnola, qui non sarà difficile ritrovare Tirso da Molina e il suo Don Juan Tenorio, Lazarillo de Tormes, La Celestina di Fernando de Rojas o per risalire all’archetipo primario il Don Qujote di Cervantes. Questa è forse la caratteristica più pregnante del romanzo che, se si andasse a valutare per l’esile trama, avrebbe ben poco da restituire. È più un gioco meta letterario, un’ evoluzione di tipi noti per raccontare i destini umani. Sorprendente per me è stata la giustapposizione, anch’essa del tutto casuale, nelle mie letture di Tristana a Emma di Madame Bovary. Ma aprirei infiniti parallelismi se volessi dilungarmi nell’analisi delle loro comunanze.
Tristana è infatti una ragazza che viene ospitata da un vecchio dongiovanni, Don Lope in seguito alla morte dei suoi genitori, suoi cari amici. La sua filantropia muta presto in una sorta di pseudo menage coniugale che fa di Tristana l’ennesima vittima di un infinito catalogo, l’ultima, in realtà, perché stavolta Don Lope si innamora e ne fa la sua prigioniera. Nel frattempo assistiamo alla crescita spirituale della giovane che brama libertà e riesce a sfuggire al dispotismo di cui è vittima innamorandosi di un giovane pittore. Scoprirà ben presto che forse anche il giovane Horacio ambisce ad una donna “subordinata all’uomo in intelligenza e volontà”…
Varie e mutevoli saranno le stagioni della vita per Tristana e da un’evoluzione all’altra ripiegherà in una triste involuzione mentre Don Lope farà trionfare, suo malgrado, una rilassata visione borghese. Morti con lui Don Chisciotte e Don Giovanni.
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