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Naufragio nei simboli
Hugo von Hofmannsthal è un classico dimenticato: celebre librettista e autore teatrale, la sua vita è intrecciata a quella di un altro grande artista, il musicista Richard Strauss cui sarà legato da un lungo sodalizio artistico, fatto di tensioni, ma anche di capolavori. Se la sua Elektra è celebre, meno noto, ma per molti un caposaldo della letteratura del Novecento, è questo suo romanzo, “Andrea o I ricongiunti”, libro cui Hofmannsthal si dedicò per più di vent’anni e che pure resta incompiuto.
In una Venezia proteiforme e illusoria, città delle maschere, in uno spazio ariostesco e ingannevole che continuamente accoglie e nutre metamorfosi alchemiche, Andrea, un giovane tedesco, è chiamato al più classico dei viaggi di formazione, a scoprire cioè nel luogo geometrico in cui i destini si incrociano, la sua propria natura. La prima metà del libro, una sessantina di pagine, è quanto di compiuto resta: una scrittura limpida e veloce, di elegante e penetrante acume, in cui i personaggi compaiono e scompaiono in una intricata foresta di simboli. Ecco, l’Andrea è certamente un romanzo di metafore, organizzato su una rigida impalcatura intellettuale e dunque niente di quello che compare è semplice forma, o meglio, nel suo essere soltanto forma “esaurisce il problema”, richiedendo al lettore uno sforzo interpretativo non indifferente. Questa pagine regalano anche una scena di indefinita bellezza in cui due donne, quasi spiriti evanescenti, l’una angelica e l’altra demoniaca, compaiono senza soluzione di continuo ad Andrea, incarnando, nella loro fatua consistenza e inestricabile doppiezza, il tema centrale di questo libro: il continuo trapassare da uno stato all’altro, la necessità di assimilare il negativo per raggiungere la sintesi del positivo. Dove però avrebbe condotto il romanzo, il lettore è costretto a leggerlo nella parte successiva, articolata in frammenti fulminanti e talora di notevole bellezza, e che pure mancano, nella loro inorganicità, la capacità di rendere il romanzo pienamente intellegibile. Neanche gli appunti, sempre frammentari, che seguono nell’edizione italiana, riescono a compensare uno sforzo di lettura che si fa quasi titanico. Quello che si intuisce è che il libro sarebbe dovuto essere non dico mastodontico, ma certo corposo e che solo in seguito si sarebbe arricchito di personaggi enigmatici e di filosofiche profondità. Al centro il quadrilatero costituito da Andrea, il Cavaliere di Malta (intelletto platonico, guida spirituale, super-Io), l’ambigua Maria/Mariquita, angelo apollineo della forma da un lato e forma informe del dionisiaco l’altro e Nina, virginale presenza capace di conciliare corpo e spirito. Ecco tutti questi personaggi non rappresentano forse che emanazioni di Andrea, parti della sua anima, schegge di essere e personalità da riassorbire per raggiungere a più alti livelli di comprensione. A voler vedere lo scopo ultimo del romanzo, l’Andrea è un libro di ascesi mistica che riassume e condensa, se pure in forma disarticolata, la ricerca hofmannsthliana sul senso dell’essere.
Resta da chiedersi perché, nonostante tutti gli anni al libro dedicati, l’autore non sia riuscito a concluderlo. Molti vedono l’incompiutezza dell’Andrea come una cifra di valore dello stesso, così come accade per le ultime sculture di Michelangelo, volutamente non finite. Hofmannsthal non riesce a chiudere il cerchio, non riesce a trovare il linguaggio per dire quanto sarebbe seguito, o almeno non riesce a trovare parole adatte a ricondurre questa sapienza mistica e violenta al placido e semitrasparente fiume della sua prosa. Eppure a me pare che questa incompiutezza pregiudichi, e anche di molto, il gusto della lettura e che questo libro, nel suo simbolismo esasperato e nella sua lucidità così intellettuale, perda la carica emotiva necessaria per essere davvero apprezzabile. E credo anche che l’incompiutezza dell’Andrea sia la spia di una incertezza dell’autore, che forse non aveva raggiunto, lui per primo, piena contezza di quanto era intenzionato a scrivere. Nonostante questo, si intuiscono sia la grandezza dello scrittore e sia l’ambizione del libro e non mi sento dunque di sconsigliarlo, perché altri potrebbero trovare invece, in loro, qualcosa di molto in linea con la ricerca di Andrea e del suo tentativo, titanico, di essere lui stesso lo spazio dei rincongiungimenti di tante parti in un solo spirito.
Un plauso alla nota di Gabriella Bemporad all’edizione Adelphi, che non solo traduce divinamente il libro, ma conduce il lettore a una più intima comprensione.
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Commenti
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Intanto, bella segnalazione! Mi pare di aver letto dell'autore solamente "La marchesa Von O." : irresistibile.
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