Dettagli Recensione
Duplicità e dialettica di un narcisista
Con inevitabili sprazzi di SPOILER
“Non ho mai avuto bisogno di imparare a vivere. Sapevo già tutto dalla nascita”
Il commento inizia così citando le parole di Jean-Baptiste Clamence
Un libro molto breve, ma dalle pagine densissime di concetti e riflessioni degne di essere annotate e riprese ogni volta che se ne sente la necessità.
Scritto nel 1956 ed ambientato in Olanda, precisamente ad Amsterdam in un bar del porto chiamato Mexico-City, l’opera consiste nel lungo discorso tenuto dall’ex avvocato parigino, ora giudice-penitente- come ama definirsi- Jean-Baptiste Clamence, ad un avventore del locale.
Il monologo, perché di un monologo si tratta, non essendoci replica da parte di chi sta ascoltando, subisce interruzioni nella finzione della storia, ma nella realtà del lettore è un fluire di parole in continuità.
Il linguaggio è garbato, affabulatore, cinico, forbito “ confesso di avere un debole per il congiuntivo” dirà Clamence, che nel parlare ostenta conoscenze in vari ambiti della cultura (scienze, arte, storia). L’auto compiacimento non si limita al solo linguaggio raffinato e ricco, ma si estende a tutta la sua persona, al suo modo di vivere, al suo aspetto fisico che emana, a sentire le donne con cui è stato, un certo fascino. Per amor di chiarezza spiega anche cos’è il fascino:
“Sa cos’è il fascino: quella cosa per cui ti senti rispondere sì senza aver fatto alcuna domanda precisa”
In una parola: irresistibile per una donna.
Perché l’uomo è duplice “non può amare senza amarsi”, non può essere felice se l’autostima è nella media, se non è libero dai giudizi degli altri. Nel momento in cui mostra una debolezza, scatta il giudizio e il pre-giudizio della gente.
A discapito della brevità, l’opera tratta tantissimi temi interessanti: non solo la superficialità dei sentimenti, dall’amicizia all’amore, ma tocca altre tematiche. La morte come spettacolarizzazione del dolore, come unica chiave che apre quella porta dei sentimenti veri sempre chiusa, la dialettica del potere e della servitù, dell’innocenza e della colpa, toccando anche il personaggio di Gesù.
Ed in questa dialettica spietata che egli spiega al suo interlocutore come mai da avvocato, ricco, ammirato e felice è diventato giudice-penitente.
Un uomo pieno di sé che tranquillamente confessa di aver amato tante donne solo sensualmente e mai nella profondità di un sentimento, mai “appesantito” da un legame. Questo concetto dell’amore fisico senza legame ricorda, con le dovute precisazioni e distanze, il libro di Kundera “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, (pubblicata circa trent’anni dopo l’opera di Camus): Clamence fa pensare molto a Tomaš che, nonostante “il peso” del matrimonio con Theresa, separa allegramente l’amore dal sesso.
Il nodo cruciale è però il suo trauma che cerca di risolvere, ma a noi non è dato di sapere se ci riuscirà: nella notte sente una risata acuta e poi una ragazza che si getta nella Senna. Lui non ha fatto nulla per salvarla, si è nascosto dietro ad un “ormai è troppo tardi” “è troppo lontano”. La caduta della ragazza che rideva mentre si stava ammazzando, un po’ come Demetra che riesce a trovare la via degli Inferi ridendo nonostante il cuore a pezzi, rimarrà il suo incubo e la sua colpa. Anche agli occhi della sua coscienza Clamence non più innocente, si è macchiato di qualche colpa. Non può più essere giudice e in qualche modo dovrà provare ad espiare questo peccato, sarà un penitente a modo suo.
Clamence è un personaggio cinico e spietato che si nasconde dietro il ben parlare e la gentilezza dei modi. Un uomo attuale quale Camus ha sempre cercato di delineare nei suoi romanzi poiché
“L’ottimismo comodo, nel mondo attuale, non ha tutta l’aria di una derisione? Detto questo io non sono tra coloro che assicurano che il mondo corra verso la sua rovina. Non credo alla decadenza definitiva della nostra civiltà. Credo – beninteso senza nutrire su questo nient’altro che illusioni…ragionevoli – sì, credo che una rinascita sia possibile”. Con queste parole di speranza, tratte dall’intervista presente nella raccolta “L’estate ed altri saggi” (Bompiani) invito a leggere un altro grande libro di Camus , “L’uomo in rivolta “.
La lettura condivisa di questo libro con QFriends ha dato modo di scoprire tantissimi richiami letterari, per questo rimando alla discussione dedicata al libro creata da siti (Laura).
Indicazioni utili
Ho trovato tratti del pensiero camusiano in Houellebecq, in particolare Serotonina
Commenti
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Dopo aver letto "Lo straniero" ho trovato di grande interesse la lettura di un recente romanzo , "Il caso Meursault" di Daoud, scrittore arabo (vincitore del Premio Goncourt-opera prima) : una risposta araba al libro di Camus.
Quanto ad Houellebecq io l'ho conosciuto prima con Serotonina ed ho faticato anche io ad apprezzarlo, non ero abituata a quel modo di scrivere. Non ricordo però di essermi annoiata, anzi! poi mi è molto piaciuto, con "La carta e il territorio" , secondo me il migliore, tra l'altro vincitore del Goncourt. Ma de gustibus...rimarrò l'unica Qfriends che lo apprezza. Pazienza!
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