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La requisitoria in confessionale senza etica né mo
Mi chiedo, dopo questa lettura, cosa avrebbe ancora scritto Camus, se la morte beffardamente anticipatrice , non lo avesse sottratto a tutti noi due anni dopo aver scritto questo testo . Mi chiedo se le sue visioni dell’uomo sarebbero diventate ancora più negative, e, al tempo stesso, anch’esse beffarde e sornione. Perché che qui, in fondo, ci abbia provato gusto, non me lo leva dalla mente nessuno, ha voluto giocare, dissimulare, intrattenere servendosi di un alter ego , Jean-Baptiste Clamence e, nello specchio della finzione letteraria, trasformare l’interlocutore dell’avvocato in tutti noi, i suoi lettori.
Il monologo/ requisitoria - d’ora in poi il lessico sarà quello prevalente nella giurisprudenza, con alcuni inserti riconducibili al cristianesimo- che l’avvocato parigino, ora giudice-penitente, intraprende con l’avventore borghese del bar di periferia di Amsterdam, quanto tiene nel sacco il suo indefinito ascoltatore, tanto tiene in pugno il lettore che si ritrova a desiderare di sentire ancora quella voce, di capire chi sia colui che parla e soprattutto di comprendere cosa vada dicendo. Il discorso, tra l’altro non è nemmeno racchiuso dentro l’unità di tempo, perché spezzato in una manciata di giorni e trasferito in diversi luoghi della città, quasi tutti esterni, per andare a culminare poi nell’appartamento dello stesso Jean-Baptiste Clamence, nell’ex ghetto ebraico, “nel luogo d'uno dei maggiori delitti della storia”.
Ma che ha da dire di così tanto pressante costui? Niente! Semplicemente si confessa, riconosce il limite della sua condizione umana e di riflesso di tutta l’umanità , di cui lui è un eccellente interprete rappresentandone un degno condensato. Certo che dalla sua parte pare avere, contrariamente a tutti gli altri, inteso alla perfezione quale possa essere la chiave di volta. Non resta che condividere la scoperta, perché essa sarà funzionale alla sua redenzione anche se ancora una volta sarà una scelta egoistica.
In un narcisistico e autoreferenziale atto liberatorio, egli potrà nuovamente porsi al traguardo di partenza, e, dotato della sua superiorità che gli deriva dal segreto, scalare le vette più alte dalle quali lanciare gli strali del suo giudizio.
“Il sentimento del diritto, la soddisfazione d'aver ragione, la gioia di stimarsi, caro signore, sono molle potenti per sostenerci o farci andare avanti. Gli uomini si trasformano in cani rabbiosi, se gliele togliete.”
Triste la condizione umana: i suoi esemplari si ritrovano a poter essere felici e ad avere successo a patto di condividere tale felicità e tale successo, solitudine e felicità non vanno di pari passo come sono incompatibili anche solitudine e successo. L’uomo si ritrova dunque felice solo se viene assolto dal consorzio umano che lo sottopone a giudizio e poiché è necessario questo passaggio ( giudizio- condanna- assoluzione) è di conseguenza un miserabile. L’uomo è dunque in un eterno Limbo.
Qualcuno può sfuggire al giudizio altrui? Qualcuno può vivere libero?Basterebbe uscire dal consorzio umano, sottrarsi al giudizio?
E la giustizia terrena che ruolo esercita?Dov’è la colpa? Qual è l’innocenza?Dove risiede veramente il giudizio?È possibile svincolarsene?Che posto avrebbe la coscienza in un atto umano di estrema ribellione al proprio giudizio ?
L’uomo non ha scampo: a nulla può l’etica , a niente vale la morale.
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Bella recensione Laura, grazie per il tuo prezioso contributo! Un libro che da anni volevo leggere e che mi spingerà a rileggere/ leggere altre opere di Camus! Grazie
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