Dettagli Recensione
Un autore che stimo ma non amo
Io e Tolstoj proprio non ci prendiamo. Non fraintendetemi, ne “La morte di Ivan Il'Ic" fa sfoggio di una maestria fuori dal comune, soprattutto nel tratteggiare la situazione e i mutamenti nella psiche del protagonista. Questo è davvero impossibile negarlo, anche per un lettore come me che con questo autore ha avuto “frizioni” fin dal principio. Anche nel caso di quest’opera, tuttavia, pur non potendone ignorare i pregi, è mancata quella scintilla che in me scatta quando una lettura è stata realmente indimenticabile. Non so a cosa questo sia dovuto: la prima esperienza con Anna Karenina è stata troppo traumatica e mi ha reso prevenuto? Le entusiastiche recensioni lette sul web e ascoltate da amici mi hanno caricato di troppe aspettative? Non saprei davvero dirlo, sta di fatto che pur avendolo apprezzato, non l’ho amato. Mentre proseguivo nella lettura, ho avuto la stessa sensazione che avrei potuto avere in un ristorante di ottimo livello, in cui pur ammirando e apprezzando la raffinatezza dei piatti, mi ritrovavo a pensare ai prossimi pasti nei miei locali di fiducia.
Tralasciando i gusti personali (perché di null'altro si tratta) Tolstoj tratteggia egregiamente e in pochissime pagine quella che potrebbe essere la vita di una persona qualunque (facendo, ovviamente, le opportune attualizzazioni), per poi metterla di fronte alla brutale realtà della morte. Ivan Il’ic è un uomo come tanti: lotta per avere quello che vuole; si entusiasma per i propri successi, persegue le proprie mete, si crea una famiglia; insomma, si districa tra le consuete gioie e dolori della vita, beandosi nella convinzione di stare facendo tutto nel modo giusto. Tuttavia, la morte è quell'elemento che ha il potere di mettere tutto in discussione; in primis, la vita.
Perciò, quando la malattia busserà prematuramente alla porta di Ivan Il’ic (oltretutto in modo incredibilmente stupido, aumentando il senso di impotenza e mettendo in risalto l'estrema fragilità della vita), questi reagirà con sgomento, con incredulità, con una serie interminabile di emozioni che lo consumeranno lentamente. Mano a mano verranno fuori tutte le ipocrisie con cui le persone in salute si approcciano a chi vede la morte avvicinarsi inesorabilmente. Ivan Il’ic prova repulsione per la condiscendenza e il falso ottimismo dei dottori, degli amici e dei familiari; prova sollievo solo in compagnia di chi ha pietà di lui. Presto però, tutto lascia il posto alla voglia di continuare a vivere. Perché si deve morire? Cosa c'è di giusto nella morte? perché ci è toccata in sorte? Allora ci si interroga sulla propria vita, sul senso che questa ha avuto, se si sia davvero vissuta nel modo giusto, e anche nel caso in cui la risposta sia affermativa, che senso ha avuto far tutto nel migliore dei modi se alla fine si è costretti a gettare tutto nelle ortiche della non-esistenza?
Ivan Il’ic verrà travolto da una marea di emozioni di cui saremo spettatori; che ci faranno pensare e forse ci angosceranno. Quando il nostro protagonista vedrà finalmente la fine forse ci chiederemo: "negli ultimi attimi, avrà finalmente trovato un senso?"
Chissà.
“Gli era venuto in mente che quello che prima gli sembrava impossibile, l’idea di non aver vissuto la propria vita come avrebbe dovuto, poteva essere la verità. Gli erano venute in mente certe sue pretese di lotta, appena percepibili, contro quello che veniva considerato buono dalle persone altolocate, pretese appena accennate che lui aveva subito allontanato da sé; gli era venuto in mente che proprio quelle potevano essere giuste, e tutto il resto poteva essere sbagliato. E il suo lavoro, il suo modo di stare al mondo, e la sua famiglia, e gli interessi sociali e professionali: tutto questo poteva essere sbagliato. Aveva tentato di difendere, di fronte a sé stesso, queste cose. E d’un tratto aveva sentito tutta la debolezza di quello che difendeva. Non c’era niente da difendere.”
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Commenti
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meno male, pensavo d'essere l'unico al mondo. Tra i russi apprezzo molto di più Dostoevskij, e mi sono subito consolato con una lettura del mio amatissimo Dickens, un autore che Orwell mette, sotto certi aspetti, alcuni gradini più in basso di Tolstoj. Eppure Dickens mi emoziona, Tolstoj no.
Che ci vuoi fare? Sono gusti :D
Vale.
il punto sta proprio in quello che hai detto tu: è come se Tolstoj fosse un superbo pittore d'affreschi, mentre Dostoevskij può essere considerato come un pittore che si limita a una tela standard, ma caricandola di significati nascosti (anche se è una definizione che gli sta un po' stretta). È forse per questo che lo preferisco di gran lunga a Tolstoj: nella letteratura ho sempre apprezzato di più l'introspezione ai tecnicismi e alla capacità di dipingere i quadri di un contesto; i quadri che preferisco sono quelli che hanno protagonista l'uomo e i suoi demoni. Questa considerazione, tuttavia, implica un mio gusto personale ed è perfettamente lecito che un lettore con altre preferenze possa mettere Tolstoj su un gradino più alto, rispetto a Dostoevskij o Dickens. Per quanto possa sembrarmi un'eresia, non si può che accettarlo come dato di fatto e provare a giudicare un autore in base a dati oggettivi; poi è ovvio che si amerà e si parlerà con trasporto di un autore che è capace anche di toccarci nel cuore, oltre che stupirci con le sue capacità e conoscenze.
P.S. Non mi sognerei mai di dire che è un romanzo brutto, ma per esempio io ho odiato profondamente Anna Karenina, e ho odiato ancor di più quelle scene infinite in cui Levìn lavora accanto ai contadini russi. Ma non mi sognerei mai di imporre una mia percezione come verità assoluta. Siamo sempre lì: gusti e preferenze personali.
Vale.
Non c'è niente da fare... i "dannati" ci attirano sempre di più :D
Come contemporanei chi prediligi?
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