Dettagli Recensione
Al di là di un genere letterario...
È veramente arduo parlare brevemente di un’opera come “La montagna incantata” di Thomas Mann, recentemente rivista e pubblicata in Italia con un altro titolo, più fedele a quello originale, “La montagna magica”, in una nuova veste filologica, più adatta agli esperti. E dal costo proibitivo.
L’edizione Corbaccio è quella classica, nella magnifica traduzione di Ervino Pocar che fa gustare pienamente la grandezza dello scrittore di Lubecca.
L’opera di Thomas Mann è titanica: otto romanzi, un dramma, più di quaranta racconti, un breve poema, innumerevoli saggi e recensioni. Uno scrittore veramente prolifico, le cui opere spesso sono intrecciate alla biografia che diventa chiave della sua scrittura.
“La montagna incantata “infatti nasce dagli appunti che lo scrittore raccolse nel 1912 durante il soggiorno della moglie, malata di petto, nel sanatorio-albergo di lusso nel Davos, lo stesso luogo in cui si svolge la storia di Hans Castorp, protagonista del romanzo. Questi appunti , dopo l’interruzione dovuta allo scoppio della prima guerra mondiale, vennero ripresi nel 1919 e lievitarono fino ad assumere la forma definitiva che venne pubblicata nel 1924.
C’è da ricordare che “La montagna incantata” esce subito dopo la pubblicazione del racconto “La morte a Venezia” e il confronto è lampante: i temi della malattia, della decadenza, dell’erotismo e del tempo sono cruciali e vengono approfonditi.
Stiamo parlando di un romanzo difficile da definire, non è soltanto un romanzo filosofico oppure storico, ma potremmo dire che, per la ricchezza di contenuti e di tematiche trattate, “La montagna incantata “ va ben oltre il genere!
Come comincia la storia?
Noi sorprendiamo all’inizio un giovane, Hans Castorp, fresco laureato in ingegneria - già assunto da una ditta che si occupa di cantieri navali - che da Amburgo, città natale, sta viaggiando su un treno a vapore diretto nel Davos, in Svizzera, per far visita a suo cugino Joachim, da un anno ricoverato nel Berghof, il famoso sanatorio-albergo, per guarire dalla tubercolosi.
Hans ha intenzione di sostare lì tre settimane, sia per riposare sia per passare un po’ di tempo col cugino...ma le settimane diventano poi mesi ed anni.
Eh sì, sembra che quando si arrivi al Berghof anche i sani si ammalino: l’aria è rarefatta, nevica anche ad agosto e qualche linea di febbre è sempre in agguato.
Confessiamo però che lasciare quel meraviglioso sanatorio non è affatto facile e richiede una grande motivazione a scendere in pianura. Al Berghof si è coccolati con lauti pranzi, doppia colazione (i pranzi sono ricchi e Mann non si risparmia nelle descrizioni all’inizio), si fanno passeggiate nel verde, si pratica la cura del riposo su ottime e comodissime sedie a sdraio sul terrazzo, con o senza coperte di cammello, a seconda delle stagioni e dell’ora. C’è di più: col tempo ci si affeziona ad alcuni personaggi, con cui si intavolano profonde ed ardite discussioni e dibattiti di idee e...ci si innamora.
È una vita sospesa dentro ad una grossa bolla dove si guarisce, a volte si muore: una realtà parallela a quella di laggiù. L’opposizione laggiù/quassù è martellante a volte ed è pregna di profondi significati. Un mondo sospeso nel tempo, quasi dormiente rispetto a quello che succede in pianura, fino a quando “il colpo di tuono” della grande guerra mondiale costringerà quasi tutti a svegliarsi, a fare le valigie e, per i giovani, come Hans Castorp, a imbracciare il fucile.
Il tempo per chi deve curarsi al Berghof è estremamente dilatato e coloro che come Joachim, cugino di Hans, sentono il dovere di essere attivi e produttivi laggiù in pianura, è quasi una agonia, una “illimitata monotonia”, anche se piacevole per certi versi poiché la buona compagnia, i lauti pranzi non mancano. Castorp invece, partito con l’intenzione di sostare solo tre settimane, sicuro di essere sano, si accorge invece di aver necessità di riposo e quando, dopo un anno di permanenza il ‘consigliere aulico’ Behrens gli dice è guarito e può tornare a lavorare, si rifiuta e rimane altri sei anni nel sanatorio-albergo.
Nella storia si incontrano personaggi coltissimi ed affascinanti tra cui, uno dei primi a comparire sulla scena, è Lodovico Settembrini, che Castorp con un moto prima di fastidio e poi di affetto lo chiamerà “suonatore di organetto “, “lo zampognaro della pace” e che farà del protagonista il suo “pupillo della vita” dandogli lezioni di etica, di filosofia.
Oltre metà del libro compare una figura ambigua, passionale, coltissima, il gesuita massone e marxista Naphta, in eterna combutta con Settembrini fino ad un epilogo che non vi svelo...
Abbiamo una bellissima donna, dai tratti asiatici, dal cognome francese, Madame Chochat di cui si innamorerà Castorp e che andrà via dal sanatorio e, come consuetudine, vi ritornerà. Forte tensione erotica, una storia difficile, considerati i costumi molto liberi di questa russa “ammodo” (scoprirete voi perché esistano nel romanzo “i russi ammodo” e “i russi incolti”) e la sua condizione di donna sposata. Interessante notare anche in questo romanzo l’eterno turbamento intimo, l’eterna pulsione omoerotica di Mann: gli occhi azzurri chirghisi di Madame Chochat , il suo corpo androgino ricordano a Castorp quelli di un suo amore adolescenziale, Hippe.
Tantissime le tematiche, ne cito solo qualcuna: il progresso nel campo della medicina e dell’ingegneria. La Torre Eiffel è stata inaugurata da poco, lo stesso cugino di Hans è un soldato moderno, Hans lavora nella costruzione di navi...
È il romanzo della complessità del reale.
I malati vengono guardati dentro doppiamente: attraverso i raggi X che fanno una fotografia dell’interiorità fisica e attraverso la psicologia...Il dottor Krokowski introduce i malati ai segreti di questa nuova scienza e lo fa attraverso quindicinali conferenze cui tutti debbono partecipare, pena il risentimento personale dello stesso dottore.
Interessanti i passi in cui si spiega come funziona la camera per i raggi X, a cosa serve lo pneumotorace, la risezione delle costole...tantissimi termini della medicina moderna!
Appassionanti i dibattiti di idee di Settembrini e Naphta sulla morte, sulla libertà, sul progresso, sull’opposizione corpo/spirito, Occidente/Oriente, sulla cremazione dei cadaveri, sullo scenario internazionale che si sta preparando alla prima guerra mondiale.
Meravigliosi i passi sulla scrittura come tempo musicale! Le riflessioni dell’autore narratore onnisciente fanno capolino in diverse pagine del libro.
Un libro che non va letto solo due volte, come consiglia lo stesso autore ai suoi studenti di Princeton - in appendice a questa edizione troverete la conferenza di Mann in merito a quest’opera- ma dieci volte almeno! Un romanzo che va ben oltre il genere di romanzo, così denso di significati che, sicuramente, ad una prima lettura (è il mio caso), presi dalla trama, perdiamo. Un romanzo sulla complessità della vita moderna che porta alle nevrosi ed all’isolamento: i malati del Berghof sono tutti malati di petto? Bene o male non portano dentro di sè le loro nevrosi e le loro isterie? Lodovico Settembrini chi altro è se non l’illuminista, la ragione che vive lassú, lontano dalla pianura, ma fuori dal sanatorio ( lontano dall’isteria quale sconvolgimento dello spirito), in un appartamentino privato?
Settembrini è secondo me la figura principale, dopo Castorp, di tutta l’opera: con la sua presenza a volte invadente ed inopportuna, sempre presente come il prezzemolo nelle situazioni più intricate, con il suo garbo, con la sua magnifica ed eloquente italianità (che secondo me Mann ammira) strenuo difensore della razionalità, della libertà dello spirito in un mondo che si appresta invece a soccombere alla barbarie.
Un romanzo che canta la fine della Belle Époque e il tramonto della razionalità . Con un finale commovente.
Indicazioni utili
E a chi ama le sfide che un romanzo complesso e denso propone.
Commenti
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Un libro fra i più belli e affascinanti della letteratura. Letto e riletto. E ancora desideroso di rileggerlo.
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