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Truffa all'italiana
“La donna in bianco” è uno dei primi esempi letterari di detective novel, ossia di romanzo incentrato su un mistero o un delitto che viene risolto attraverso accurate ed audaci indagini da un personaggio non sempre collegato al mondo della polizia ordinaria, spesso si tratta anzi di investigatori dilettati o persone comuni che si trovano loro malgrado coinvolte in un crimine.
Per la prima volta compaiono espressioni tipiche del gergo poliziesco, come indagine, indizi e sospetti, inoltre il protagonista si impegna in dei veri e propri interrogatori con vari personaggi e formula delle ipotesi basate sull’osservazione diretta dell’ambiente
«[...] mi venne fatto di osservare il basamento della grande croce bianca, dal lato dove c’era l’iscrizione… Vi si notava, fatto abbastanza curioso, una larga zona ripulita di fresco, proprio nel bel mezzo. [...] Avevo deciso di ritornare al cimitero sul far della sera: se la mia ipotesi era quella giusta avrei sorpreso all’opera la persona che si era sobbarcata l’incarico di ripulire quel particolare monumento funebre.»
Scritta nel 1859 e pubblicata a puntate, com’era in uso per molti romanzi dell’epoca, questa è indubbiamente una delle opere più note di William “Wilkie” Collins. Con questo volume viene “inventata” anche la sensation novel, ossia il genere basato sulla capacità dell’autore di creare un’atmosfera di tensione continua e crescente, e vengono inoltre inseriti diversi riferimenti alle sue esperienze personali: sono presenti personaggi di origine italiana e scene ambientate in Francia, entrambi Paesi nei quali l’autore viaggiò di frequente durante la giovinezza,
«L’Italia è indubbiamente il paese più affascinante che ci sia al mondo e Laura vi troverà i più svariati motivi di distrazione e di interesse, [...]»
ma anche diversi avvocati ed elementi collegati alla giurisprudenza, campo dei suoi studi universitari, seppur mai diventato la sua professione.
Amico e collaboratore di Charles Dickens, in questa narrazione Collins si avvicina idealmente ad altri autori: per ambientazione e personaggi mi ha ricordato Jane Austen, nello specifico “L’abbazia di Northanger”, mentre le indagini svolte dal protagonista posso benissimo aver gettato le basi per quelle del detective di Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes.
Il romanzo presenta una struttura molto originale, risultando in sostanza una sorta di memoir redatto dal protagonista unendo le trascrizioni delle sue esperienze alle testimonianze degli altri personaggi, in forma di deposizioni, diari o certificati ufficiali. Un plauso va alla bravura di Collins nel saper intrecciare abilmente i vari registri narrativi e dar voce di volta in volta ai diversi personaggi in modo assolutamente credibile.
La storia prende l’avvio quando al maestro di disegno Walter Hartright viene offerta la possibilità di insegnare alle giovani nipoti di un ricco possidente, tale Mr Fairlie; la sera stessa, il protagonista incontra in modo fortuito anche la misteriosa donna in bianco che dà il titolo al romanzo, portatrice di oscuri presagi proprio sul nuovo lavoro di Walter. Da questo spunto iniziale si sviluppa una trama davvero complessa e ricca di colpi di scena, dove il personaggio di Walter viene di frequente accantonato per dar spazio alle altre storie, espediente che però impedisce al lettore di affezionarsi al protagonista.
In generale nessuno dei personaggi di dimostra particolarmente incisivo, anzi alcuni sono decisamente snervanti come Laura, ma mi sento comunque in dovere di citare tra i miei favoriti la determinata Miss Halcombe, unico personaggio femminile che tenta di ottenere un ruolo che sia paritario, anche durante le indagini, pur non riuscendo sempre nell’intento,
«Doveva esserci un motivo preciso, per tanta confidenzialità. Il conte non faceva mai nulla senza uno scopo...
Al momento non potevo perdermi in queste congetture, perciò scacciai il pensiero e mi interessai soltanto alla contessa che stava facendo i suoi soliti interminabili giri attorno alla vasca dei pesci rossi.»
e l’ambiguo conte Fosco la cui astuzia gli è valsa la mia simpatia a dispetto del ruolo da antagonista.
Per quanto riguarda i personaggi secondari, alcuni sono puramente macchiettistici e mi hanno ricordato ancora una volta la Austen; ad esempio la placida governante, Mrs Vesey
«C’è chi attraversa la vita correndo e chi va a passo lento. Mrs Vesey, nella vita, ci stava seduta!»
o anche Frederick Fairlie, sempre preoccupato per i suoi poveri nervi
«Il giorno del mio [di Mr Gilmore] arrivo non ebbi il piacere di esser ricevuto da Mr Fairlie. Da anni egli era, o credeva di essere, un povero invalido cui non era possibile intrattenere facilmente dei visitatori, specie per colloqui d’affari.»
Oltre al senso di distanza rispetto ai personaggi, gli altri elementi che non mi hanno convinta del tutto sono il finale che risolve le varie problematiche in modo troppo fortuito e le spiegazioni eccessive dei vari misteri: molte risposte erano davvero facili da intuire per il lettore, non era affatto necessario specificare tutto più volte.
NB: Libro letto nell'edizione Newton Compton
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Darò comunque un'altra occasione a Collins, penso abbia del potenziale per piacermi.
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