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La seduzione del monologo
Arthur Schnitzler appartiene a quella schiera di artisti, tra cui Klimt, Roth e molti altri, animati dal perturbante e decadente fascino dell’Austria alla fine della sua gloria, una crisi dell’impero ben simboleggiata da quella frutta marcita che permea, in un clima di visionaria allucinazione, la Venezia di Thomas Mann, altro cantore della fine di un’epoca. Lo stesso Schnitzler conosciuto per essere autore di “Doppio sogno”, romanzo cui Kubrick si è ispirato per la mistica e conturbante enigmaticità di Eyes Wide Shut. E a ben vedere, questo “Signorina Else” condensa ed esemplifica un genere letterario che da un lato affonda la sua costruzione narrativa nel teatro, di cui usa anche i mezzi, e dall’altro nel senso musicale del cinema, nella forza inarrestabile di una regia che insegue, braccandola, la sua unica protagonista. Del teatro “Signorina Else” recupera l’idea di una serie di eventi scatenati da qualcosa che accade all’inizio del dramma. Come in Shakespeare, l’azione è già tutta all’inizio (la profezia delle streghe che apre il “Macbeth”, l’omicidio del re in “Amleto”), cosicché la narrazione può concentrarsi sulle conseguenze del fatto, perché il fatto è stupido e tutto è interpretazione. Il fatto qui è la richiesta che Else, una diciannovenne che ha tutta l’altera protervia della sua età, riceve dalla madre: il padre ha sperperato il denaro della famiglia, rischiano uno scandalo e quindi deve chiedere ad un ricco signore in vacanza un prestito. Peccato che il signore chiederà in cambio a Else di vederla nuda.
Una volta che il motore dell’azione si è acceso, non resta altro che seguire la protagonista in una lunga sequenza, una regia che davvero non stacca mai la macchina da presa e che si spinge sempre più a fondo, oltre la pelle, oltre la carne, oltre le viscere per scovare una ragione, per risolvere il dilemma tra utile ed etica, per tentare di ricomporre la lacerante disumanità di una richiesta che esplode in tutta la sua incontrovertibile forza di sopraffazione. Perché anche se Else è pungente, anche se Else si esprime con intelligenza e gioca con le parole, con i giudizi, con la pretesa della conoscenza su se stessa, resta pur sempre un’adolescente o poco più. E Schnitzler ben descrive il senso di paralisi, la sensazione di impotenza che coglie quando si riceve un’attenzione indesiderata, una richiesta troppo esplicita. Eppure l’aspetto notevole di questo libro è l’assoluta padronanza del monologo interiore, perché tutto accade attraverso gli occhi della protagonista, in una scrittura fluida che sa cogliere ogni vibrazione, ogni oscillazione dell’anima, in equilibrio miracoloso tra la frantumazione dei pensieri e il loro inesauribile scorrere. Un’arte che ha fatto accostare Else a Molly Bloom e che fa di Schnitzler uno degli autori più moderni che abbiano aperto il novecento.
Nel microcosmo di Else, nell’albergo che ospita la vicenda di appena quattro ore, si riflette il macrocosmo dell’ipocrisia borghese e della più vile perversione, ma anche l’infinita debolezza di una donna con pensieri troppo complicati, nel vuoto cosmico della propria cocciuta incomunicabilità. La scrittura accoglie anche la rivoluzione psichica freudiana, ma voglio lasciare da parte le letture del libro come espressione dei complessi di Elettra, della coazione a ripetere e di quant’altro la critica si è sforzata di trovare. Quello che regala Else è la storia di un’anima e la profonda sintonia tra la questa e la natura, con alcune splendide scene al chiaro di luna, mentre il vento soffia, nell’aria frizzante di champagne, nella calma nevosa delle montagne. Momenti lirici che si susseguono senza soluzione di continuo alle più turpi azioni e che crescono in una climax vertiginosa fino alla scena in cui, complice il sapiente uso della musica (per chi sa leggere gli spartiti, forse nel ricordo della “Sonata a Kreutzer”), il parossismo supera la parola e al lettore non resta che il senso di un’ansia paralizzante.
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Commenti
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Ho letto qusto libro un paio di anni fa e non posso che concordare con ciò che hai scritto!
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Sicuramente, come evidenzi, eravamo in un periodo di particolare innovazione nella cultura austriaca.