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Emma
 
Emma 2019-06-21 10:55:41 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    21 Giugno, 2019
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Il «romanzo-enigma»

«Bella, intelligente, ricca, con una casa fatta per viverci bene e un’indole felice», in possesso di «alcuni dei beni preziosi della vita», vivace, allegra e senza pensieri né preoccupazioni, Emma Woodhouse sembra essere una delle creature più perfette e felici nella ricca galleria dei personaggi austeniani. Nei romanzi di Jane Austen, però, niente è mai come sembra, soprattutto in "Emma", il quale, a dispetto del successo senza tempo di "Orgoglio e pregiudizio", si contende con "Mansfield Park" il ruolo di capolavoro della Austen ed è considerato dalla quasi totalità dei critici la sua opera più complessa. Tanto il padre di Emma, l’anziano signor Woodhouse, un malato immaginario completamente preso dai suoi acciacchi e dalle sue egoistiche preoccupazioni, quanto la sua istitutrice, la fin troppo dolce e remissiva signorina Taylor, reputano Emma perfetta sotto ogni punto di vista e l’intero villaggio di Highbury, nel Surrey, si unisce al coro di lodi sperticate. L’unico davvero in grado di sfidarla è George Knightley, cognato di Emma e vecchio amico di famiglia. Per Emma il risultato di questa situazione solo in apparenza positiva è « la possibilità di fare un po’ troppo a modo suo e una certa tendenza a pensare un po’ troppo bene di se stessa»: due caratteristiche che le porteranno non pochi guai.
Lungi dall’essere davvero perfetta, Emma è invece una comune mortale e il suo difetto fondamentale è essere una imaginist che si diverte a inventare trame, sviluppi ed esiti per le vite degli altri. Peccato che la sua immaginazione sia un velo alla reale percezione del mondo e tutte le sue fantasie si rivelino, alla resa dei conti, completamente errate. Nei ritagli di tempo tra una passeggiata e una visita di cortesia, la signorina Woodhouse si dedica con zelo e passione all’attività di match maker (la mania di progettare unioni tra gli scapoli e le giovani donne nubili di Highbury), ma il suo unico successo consiste nell’aver favorito (a suo dire) il matrimonio fra la sua istitutrice e il signor Weston, vedovo da molti anni. Da qui in poi, tutte le sue fantasie e i suoi progetti successivi si rivelano sistematicamente errati e coinvolgono gli altri personaggi, oltre che la stessa Emma, in un vortice di equivoci, a cominciare dalla sua amica Harriet Smith, debole, ingenua e facile preda della fantasia turbolenta della signorina Woodhouse.
Come Catherine Morland in "Northanger Abbey", Emma sembra possedere una personalità donchisciottesca, eppure non è una lettrice accanita né di romanzi né di poesie: le sue fantasie nascono dalla sua immaginazione e dalla pericolosa convinzione di saper sempre leggere in modo corretto le personalità e le esistenze altrui proiettando su di loro i suoi desideri e le sue ambizioni. Al tempo stesso, però, le fantasie di Emma sono probabilmente il frutto di una condizione esistenziale che la condanna alla solitudine e alla noia e che si inserisce nel contesto più ampio della riflessione sulla problematica condizione della donna, sempre presente nei romanzi di Jane Austen. Nella sua famiglia e nell’ambiente ristretto del villaggio di Highbury l’intelligenza di Emma non trova uno sbocco, la sua volontà è soffocata ed entrambe hanno sfogo solo nel tessere piccoli intrighi matrimoniali e nell’inventare avventure per l’amica Harriet. Emma incarna il principio creativo ed è dunque il personaggio austeniano in cui più di ogni altro è adombrata la figura stessa della scrittrice: come la Austen, Emma è «una tessitrice di mondi e di storie non scritte» che fa del combinare matrimoni un vero e proprio hobby horse di sterniana memoria, una chiave di lettura del mondo che ne altera la visione, come un paio di occhiali colorati, e la porta a fraintendere tutto ciò che accade intorno a lei con esiti tragicomici.
I romanzi di Jane Austen, in apparenza semplici e accessibili, sono invece strutturati per enigmi e veri e propri «blocchi di incomprensione» e in larga misura incentrati su «questioni epistemologiche, ovvero legate alla conoscenza e alla percezione, ai processi tramite i quali capiamo il mondo, le cose, le persone»: essi rappresentano una realtà ingannevole e insidiosa nella quale nulla è come appare e ovunque si celano misteri ed enigmi da decifrare che mettono alla prova il senso critico e la capacità di lettura e comprensione del mondo tanto della protagonista quanto del lettore, chiamato a raccogliere la sfida interpretativa e a partecipare attivamente alla loro decifrazione.
Nel macrotesto austeniano, il romanzo che più di tutti, pur apparendo luminoso, leggero e divertente, cela una pessimistica riflessione sulle possibilità di conoscenza e interpretazione del mondo è proprio "Emma". Tutti i romanzi della Austen sono storie di fraintendimenti, ma "Emma" è l’unico ad essere costruito a livello diegetico sull’interpretazione errata, su un continuo alternarsi di ambiguità e rivelazioni che diventa l’elemento indispensabile allo sviluppo della narrazione, tra misteri, inganni, sciarade e comportamenti apparentemente inspiegabili.
Nel corso della narrazione si intrecciano le vicende di tre figure femminili (Emma Woodhouse, Jane Fairfax e Harriet Smith) affiancate da diversi personaggi maschili e l’elemento unificatore del racconto è costituito proprio dal tema dell’enigma, che si dipana nel passato, nel presente e nel futuro e fa capo a un enigma centrale, la fallace percezione del mondo: quali sono le origini di Harriet, che non è mai stata riconosciuta dal padre? Cosa si nasconde dietro i comportamenti singolari di Jane Fairfax e di Frank Churchill? Chi è il misterioso donatore del pianoforte ricevuto da Jane? Di chi è innamorato il signor Elton, il reverendo del villaggio? Emma e il signor Knightley riusciranno a sposarsi nonostante l’irriducibile opposizione del padre di lei?
Tale impianto narrativo, fondato su un meccanismo a scatole cinesi nel quale ogni mistero ne cela un altro, postula necessariamente la rilettura come elemento fondamentale per la comprensione del testo e uno svelamento graduale dei significati, percepibile, appunto, solo attraverso letture reiterate che rinnovano di volta in volta il piacere della scoperta. La rilettura è insita nell’impianto narrativo a diversi livelli: non a caso tutti i personaggi, a cominciare dalla protagonista, sono spesso costretti a revisionare la loro lettura della realtà e delle persone che li circondano, mentre il lettore stesso rivede di volta in volta la propria interpretazione delle vicende. Come gli altri romanzi dell’autrice, "Emma" insegna a riconoscere tanto il limite quanto la pluralità e la complessità delle possibilità interpretative umane e rispetto alle opere precedenti richiede un ruolo particolarmente attivo e dinamico al lettore, proponendosi dunque come il romanzo in cui meglio si manifesta la portata antidogmatica della scrittura austeniana.
Non solo ad Emma, però, la realtà si presenta equivoca e misteriosa. Come in una detective story ante litteram, tutti i personaggi si interrogano su ciò che accade, tentano di interpretare parole, sguardi, comportamenti, rossori, e, al pari di Emma, tutti loro cadono in errore, con la sola parziale eccezione di George Knightley. Ad Highbury le indagini non si fermano mai e sono numerose le scene in cui, nel tentativo di chiarire piccoli misteri, si assiste a vere e proprie investigazioni e formulazioni di ipotesi con l’utilizzo di metodi e di un linguaggio («controprova», «deposizione», «indagine») che saranno propri del futuro romanzo poliziesco.
Negli altri romanzi della Austen, inoltre, il mistero non è visibile ai sensi e se un personaggio si inganna nel giudicare, ciò è dovuto a una conoscenza solo parziale della realtà, alla mancanza di tutti gli elementi necessari per giungere alla verità. "In Emma", invece, il mistero è ben visibile, ma percepito in modo erroneo tanto dalla protagonista quanto dagli altri personaggi. Lo spassoso risultato è una sorta di commedia degli equivoci. "Emma", infatti, è un romanzo molto vicino al genere della commedia per impianto, situazioni e il gran numero di figure comiche (l’ipocondriaco signor Woodhouse, l’anziana e malandata signora Bates e la figlia zitella di lei, la signorina Bates, con i suoi lunghissimi discorsi ricchi di dettagli futili che non interessano a nessuno). E se "Emma" è una commedia, può senz’altro essere letto proprio come una comedy of errors fondata sull’ostinato, sistematico fraintendimento della realtà da parte della protagonista.
In "Emma", dunque, l’enigma coinvolge le basi stesse della conoscenza, la percezione della realtà attraverso i sensi: se i sensi si rivelano ingannatori, all’incertezza non c’è rimedio, l’enigma sembra essere connaturato alla conoscenza del mondo ed è dunque destinato a ripresentarsi. Nel finale, scandito da tre matrimoni felici, i nodi si sciolgono e tutti i misteri sono chiariti, ma il narratore avverte che non si può escludere che in futuro ne sopraggiungano di nuovi, perché è molto raro che agli uomini sia concessa una verità piena, del tutto priva d"i errori e malintesi. "Emma" diventa così un enigma irrisolvibile, al punto da essere definito dai critici un vero e proprio «romanzo-enigma». E come ogni detective story che si rispetti, in "Emma" non mancano gli indizi abilmente celati nello scorrere del quotidiano, nel linguaggio non verbale di sorrisi e rossori, nelle citazioni letterarie e nei rimandi musicali, negli interminabili ed estenuanti monologhi della signorina Bates.
Se però sul piano del contenuto gli intrecci sembrano seguire ancora schemi coevi, l’ambiguità si manifesta con forza ancora maggiore sul piano dello stile e delle scelte narrative, dove si celano le maggiori spinte anarchiche del testo. Jane Austen sperimenta con disinvoltura diverse tecniche e strumenti narrativi allo scopo di dimostrare la fallibità dell’interpretazione del reale e che la voce narrante può tanto raccontare quanto ingannare. Primo di tali strumenti è l’ironia, un «linguaggio doppio» che dice e non dice, che afferma e contemporaneamente nega suggerendo l’esatto contrario di ciò che dichiara alla lettera, seguita dal discorso indiretto libero, che intreccia la prospettiva della voce narrante e la prospettiva della protagonista producendo una terza voce, una voce intermedia delle cui affermazioni il lettore è costantemente spinto a dubitare proprio perché è difficile tracciare un confine netto tra le due componenti che le danno vita. Ne deriva un’«indeterminatezza narrativa» che accresce notevolmente l’enigmaticità del testo.
A vivacizzare ulteriormente la narrazione contribuisce anche l’animato gioco delle voci. La Austen preferisce lo showing al telling e di solito i personaggi non sono descritti, ma si rivelano attraverso i dialoghi e i comportamenti e ciascuno di essi è dotato di un linguaggio perfettamente riconoscibile: dall’inconfondibile voce del signor Woodhouse, fondata sulla ripetizione di lamentele e consigli medici e culinari, a quella pedante e logorroica della signorina Bates, dal discorso formale e pomposo di Elton a quello schietto e conciso di Knightley, dal tono riservato di Jane Fairfax a quello ricco di esclamazioni, dettagli, esitazioni ed esiti comici che caratterizza Harriet, e l’unico caso in cui il linguaggio diventa stereotipato e saturo di luoghi comuni, quello della signora Elton, è il frutto di una strategia precisa che mira a sottolineare l’ignoranza, la volgarità e l’affettazione del personaggio. I romanzi della Austen sono stati paragonati a conversational machines, cioè meccanismi fondati sulla conversazione, ed "Emma" è un romanzo marcatamente "dialogato" che, sebbene dominato dalla voce della protagonista, lascia spazio al coro degli altri personaggi.
Il romanzo, inoltre, è costruito su una rete di omissioni, allusioni e lacune. Tali strumenti, funzionali ad accrescere l’enigmaticità dell’opera, sono presenti nell’intero macrotesto austeniano, ma in "Emma" il non detto, come il linguaggio non verbale, diventa il cardine della narrazione e l’intero romanzo può essere letto come una successione di fraintendimenti nati da una comunicazione allusiva, lacunosa o interrotta che coinvolge tanto la protagonista quanto gli altri personaggi, al punto che si può parlare di una «poetica dell’ellissi e della lacuna». Sono proprio le reticenze, le omissioni e i conseguenti (errati) tentativi di Emma di colmare i vuoti a dare il via alla fitta trama di fraintendimenti che percorre il romanzo. A eccezione di qualche accenno, l’autrice non rappresenta ciò che si trova al di là dei confini del villaggio di Highbury, infatti "Emma" può essere considerato il romanzo in cui la Austen mette in pratica al meglio il precetto di poetica, illustrato in una lettera ad una delle sue nipoti, che identifica in «tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna» la situazione ideale per iniziare la stesura di un romanzo. Jane e Frank, accomunati dalla necessità di nascondere il loro fidanzamento segreto, sono definiti «figure della reticenza», «metafore viventi», protagonisti di un inganno che si fonda non tanto sulla menzogna, quanto su un’abile alternanza di omissioni e allusioni rivelatorie.
Inoltre le lettere, che nei romanzi della Austen sono strumenti fondamentali per l’addestramento dell’eroina alla corretta lettura e interpretazione del mondo, non sono riportate direttamente, ma il loro contenuto è riferito da una persona diversa dal mittente e filtrato dalla sua prospettiva, dunque la loro funzione di guida alla corretta decodificazione della realtà viene meno. L’unica eccezione è la lettera che Frank indirizza alla sua matrigna, la signora Weston, alla fine del romanzo, con la quale il giovane spiega i retroscena dei suoi misteriosi comportamenti e finalmente chiarisce tutti i piccoli misteri disseminati nel testo, una vera e propria "scena della ricostruzione", paragonabile all’epilogo di un giallo in cui il detective ripercorre e chiarifica gli eventi.
Pur dando grande spazio all’interpretazione (per lo più errata) del mondo, i cui segni sono ambigui per natura, i romanzi della Austen si chiudono con un lieto fine e una rassicurante chiarificazione generale. "Emma" non fa eccezione e nella conclusione ogni nodo si scioglie, ogni lacuna viene colmata e tutti i misteri sono spiegati, ma non bisogna mai dimenticare che in "Emma" nulla è come sembra. Più delle opere precedenti, questo romanzo elude una chiusura effettiva e presenta un finale solo apparentemente rassicurante, perché «è raro, molto raro che una verità piena appartenga alle confessioni umane; raro è che piccoli travestimenti o malintesi non ci siano». A pochi capitoli dall’epilogo, questa osservazione della voce narrante, che stona in un’opera dai toni in apparenza briosi e ottimistici, fornisce la chiave di interpretazione del romanzo, sottolineando l’impossibilità di un sapere che non sia parziale, lacunoso, frammentario, e una visione della conoscenza che procede per errori. La commedia è terminata, gli enigmi sono risolti, la falsità è stata smascherata e tutto è tornato alla normalità, ma il narratore avverte che potrebbe non essere così. Gli inganni potrebbero ripresentarsi in futuro, perché sono connaturati ai rapporti tra le persone e alla percezione stessa della realtà, e in fondo «c’è sempre un lato oscuro e imprevisto anche nelle situazioni più luminose e positive».



Le citazioni sono tratte da: R. ANTINUCCI, Come leggere Emma, Chieti, Solfanelli, 2017; J. AUSTEN, Romanzi, Milano, Bur, 2018; J. AUSTEN, Emma, Mondadori, Milano, 2002; B. BATTAGLIA, La zitella illetterata. Parodia e ironia nei romanzi di Jane Austen, Napoli, Liguori, 2009; L. INNOCENTI, La commedia degli equivoci: Emma di Jane Austen, in «Textus. English Studies in Italy», IV, (1991), Roma, Carocci; D. SAGLIA, Leggere Austen, Roma, Carocci, 2016.

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Commenti

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Complimenti Cathy, recensione di grande spessore, quasi una tesi di laurea! Non avevo finora messo la Austen tra le mie priorità di lettura, ma il tuo scritto mi fa pensare di aver avuto torto.
Ottimo commento! Avevo letto da qualche parte che "Emma" è diverso per certi aspetti dagli altri libri della scrittrice e forse più in linea con le mie corde. Ho abbandonato "Orgoglio e pregiudizio" prima della metà perché stancante, almeno per me. Invece mi sembra ci siano molte affinità anche tra Emma e il teatro, vuoi per i dialoghi, vuoi per il concetto di illusione. Forse forse lo leggerò...
Ottimo commento che offre tanti spunti critici utili a delineare la complessità del romanzo. Io non l'avevo colta, il libro mi aveva profondamente annoiata.
In risposta ad un precedente commento
Cathy
29 Giugno, 2019
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Grazie mille! Ci sei andato vicino, perché la mia tesi di laurea magistrale verteva, tra le altre cose, anche su Emma. I testi che cito in fondo alla recensione sono alcuni dei libri che ho utilizzato per scrivere la tesi.
Sono contenta di averti fatto cambiare idea sulla Austen, a mio parere è fantastica.
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Cathy
29 Giugno, 2019
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Ciao e grazie per il complimento! Sicuramente Emma ha qualcosa in comune con il teatro, è molto simile a una commedia, però anche di Orgoglio e pregiudizio si può dire lo stesso... I due romanzi sono piuttosto simili, almeno nell'apparenza leggera e briosa, anche se poi Emma nella sostanza si rivela più cupo. Forse non è il tuo genere, ma puoi sempre fare un tentativo, magari Emma ti piacerà di più. Buona lettura.
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Cathy
29 Giugno, 2019
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Grazie per il complimento. Può capitare, leggendo un libro, che alcuni aspetti ci sfuggano. Con "Emma" sono stata fortunata, perché ho letto parecchi saggi critici su questo romanzo e mi hanno aiutato a dare motivazioni profonde all'amore che ho sempre avvertito istintivamente per "Emma". Se sono riuscita a fartelo rivalutare un po' sono felice.
In risposta ad un precedente commento
siti
29 Giugno, 2019
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Ecco, dovrei rileggerlo sulla scorta dei saggi critici.
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