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Una sintesi degli opposti per la scoperta della vi
Romanzo di formazione, saggio, trattato filosofico... Non esiste un genere letterario che possa inquadrare il grande racconto di Hermann Hesse perché ‘Narciso e Boccadoro’ scardina volutamente ogni struttura: esula dal romanzo di formazione per farsi saggio e infine straborda dall’impianto saggistico per darsi -con ottimi risultati- alla filosofia. Per poi tornare ancora alla forma più canonica del romanzo. Insomma, è l’inclinazione del lettore a deciderlo. Questo forse, durante la lettura, va a discapito dell’intrattenimento del lettore
Ciò su cui si può concordare però è la grande abilità dell’autore, premio Nobel, nel raccontarci la vita di un uomo che ha fatto dell’amore il suo unico credo. Il suo essere libertario lo ha portato a scoprire il suo stile di vita, ha forgiato la sua identità. Boccadoro è la perfetta sintesi dei paradossi dell’uomo. Quante volte ci ritroviamo in situazioni che mai avremmo pensato di ritrovarci? Quante volte commettiamo gesti che normalmente non ci appartengono? E chi dunque l’avrebbe mai detto che Boccadoro, ‘svegliato’ dal sonno della ragione da Narciso (monaca ascetico e saggio nonché migliore amico del nostro protagonista), avrebbe deciso di abbandonare quella vita di amore per Dio e la preghiera, di dedizione verso la semplicità, castità e routine quotidiana per buttarsi in un mondo che lo porterà a scoprire e a vivere un’esistenza opposta a quella che suo padre aveva immaginato per lui - ignaro dell’animo e dei desideri più profondi di Boccadoro - ?
Un’esistenza in cui l’amore sarà solo verso il sesso e la vita. È come se Boccadoro avesse sovrapposto l’atto sessuale all’atto di vivere. E per voglia di continuare a sperimentare la sua libertà, ma anche solitudine che arriva perfino a uccidere altri uomini. Prima per difendere la sua vita e quel poco che ha, poi per difendere una delle sue donne. L’amore da una parte e la vita dall’altra. L’amore per la vita. L’amore della vita.
Il cambiamento del suo modo di vivere, ‘battezzato ‘ da suo padre, fratello e amico acquisito Narciso - vero maestro di vita, capace di saper indicare la strada al suo allievo - è un passaggio estremo. In tutto e per tutto. Estremo alla vita che avrebbe dovuto condurre al convento. Estremo nell’amore verso la vita e verso le donne. Estremo nelle esperienze difficoltose con le quali ha dovuto convivere (la peste). Estremo nel mondo in cui si ritrova. Appare quest’ultimo, a suo modo, idealizzato dove la disponibilità non viene mai a mancare: riesce sempre a trovare una donna per appagare i suoi desideri e a trovare una famiglia per appagare i suoi bisogni più elementari.
È un inno alla vita? Sì. È un inno all’amore? Sì. Ma è anche un inno agli istinti primitivi dell’uomo. Ed è solo con il tempo, quando si imbatte nel suo secondo maestro di vita, Nicola -dopo l’abate Narciso- che capisce come l’esistenza non può essere solo quello. Capisce che anche lui ha delle abilità. Ancora inespresse, ma innate. Ancora nascoste, ma pronte ad uscire alla luce. Boccadoro cerca questa possibilità, Nicola gliela offre, Boccadoro la raccoglie. E scopre così il dono della bellezza e dell’arte che possono scaturire anche dalle sue sole mani.
Di tutto questo Hermann Hesse racconta, come a testimoniarci la complessità dell’uomo. L’uomo che si ritrova nella propria vita da un estremo all’altro. Ci insegna che tutti noi abbiamo una strada e che talvolta sono altri a dovercela indicare -come Narciso l’ha indicata in un certo senso a Boccadoro-. E spesso si rivela la più tortuosa, la più sorprendente, la più animalesca. Ma alla fine è quella capace di definirti come uomo e come persona.
Spesso in più punti del libro, e questa è una caratteristica che solo in Hesse ho trovato così prepotente, è lo stesso autore a intervenire svelandoci contraddizioni, parallelismi e anomalie che si palesano durante il peregrinare di Boccadoro. Sembra quasi che sia lui stesso a recensire ‘al volo’ il suo stesso racconto. Come quando scrive “nello specchio scuro della fontana vide la propria immagine e pensò che quel Boccadoro che lo guardava dall’acqua non era più da un pezzo il Boccadoro del convento o quello di Lidia e neppure il Boccadoro delle foreste. Pensò che ogni uomo corre senza posa e si trasforma infine si dissolve, mentre la sua immagine creata dell’artista rimane sempre immutabilmente la stessa”. Questa considerazione solitamente viene relegata a noi lettori, chiamati a comprendere il significato allegorico del racconto: la caducità della vita umana e l’eternità dell’arte e di ciò che l’umano è capace di produrre. Comprendere questo significa lasciare un segno nella vita. E Boccadoro lo comprende. E da Nicola, l’artista, lascia il suo primo segno, creando l’immagine dell’artista. Un ritratto che è disegnato, quindi tangibile, da essere toccato con mano e che si palesa alla vista degli occhi, ma anche spirituale, che risiede nell’animo, e che si mostra alla vista del cuore. Disegnando Boccadoro arriva anche a disegnare la sua identità.
H. Hesse, dopo averci raccontato la crescita emotiva del protagonista, arriva a spiegarcela. Sono le ultime pagine. Sono la filosofia di vita di Hermann Hesse per bocca dell’abate Narciso. Un saggio pieno di saggezza (il gioco di parole è voluto) che tutti noi dovremmo farne tesoro. Il dialogo finale tra i due è tutto da leggere. C’è commozione, insegnamento, riconoscenza, tristezza. È un intenso colloquio che a tratti ricalca i colloqui filosofici di Platone. Dove il maestro guida l’allievo verso la consapevolezza con domande specifiche ed esistenziali. Tra le molte preziose pillole che Hesse (ossia Narciso) ci lascia, ne ripropongo qui una. Non è la più importante magari, ma riprende in parte ciò che ho detto poco sopra: “Molto prima che la figura artistica diventi visibile e acquisti realtà, essa esiste come immagine nell’anima dell’artista! Questa immagine dunque, questa immagine originaria è esattamente ciò che gli antichi filosofi chiamano idea”... “Ebbene, riconoscendo l’esistenza delle idee e delle immagini originarie tu entri nel mondo spirituale, nel nostro mondo di filosofia e di teologia, e ammetti che fra la confusione e il dolore di quel campo di battaglia che è la vita, in questa danza macabra senza fine e senza senso dell’esistenza corporea, esiste lo spirito creatore. [...]”
Grazie Hermann Hesse per la tua saggezza e il tuo insegnamento. Questo racconto, per essere compreso e gustato, richiede la collaborazione e l’applicazione del lettore. Allora sì che “Narciso e Boccadoro”, con un po’ di pazienza e di buona volontà nel seguire attentamente gli sviluppi del romanzo, possono diventare anche per noi dei piccoli maestri
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Commenti
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come puoi vedere dal voto che ho messo in “piacevolezza”, Narciso e Boccadoro non mi hanno entusiasmato. Ci sono stati dei momenti in cui mi sono forzato di andare avanti un po’ per inerzia, un po’ perchè spinto dallo stile di Hesse, un po’ perché volevo capire a quale messaggio voleva arrivare.
Pensa che il Lupo della Steppa sarà esattamente il mio prossimo libro che leggerò.
Quando farò la recensione, sarei interessato e curioso a ricevere un tuo commento in tal senso.
Buona giornata,
David
Chissà che non riesca a rileggerlo dopo anni...alla luce di nuove esperienze di lettura e di vita. Complimenti per la tua recensione!
il tuo commento è comprensibile. Ma non me la sentivo di ‘sanzionare’ con un voto così basso H. Hesse: mi sembrava troppo presentuoso.
E grazie
Un abbraccio
David
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