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Dieci piccoli indiani
 
Dieci piccoli indiani 2019-04-27 15:37:19 Valek
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Opinione inserita da Valek    27 Aprile, 2019

UN’ANALISI TRASVERSALE DI LIBRO E ADATTAMENTI

SPOILER
In questo articolo voglio analizzare alcuni aspetti del libro “Dieci Piccoli Indiani” di Agatha Christie, scritto nel 1939, e di due adattamenti dell’opera, rispettivamente per il grande e per il piccolo schermo: il film del regista Renè Claire, realizzato nello stesso anno di uscita del libro, e la recente miniserie televisiva, da tre episodi, realizzata nel Regno Unito nel 2015.

IL ROMANZO - Personalmente ritengo il manoscritto dell’autrice britannica un vero e proprio capolavoro, tecnicamente perfetto a livello di trama e di stile di scrittura.
Inoltre, ritengo che all’interno di qualunque vicenda narrata (in forma di libro, film, ecc.) sia richiesta una buona dose non solo di LINEARITÀ DI TRAMA, ma anche di LOGICA. E, nuovamente, non si può che inchinarsi alla schiacciante logica del finale del libro, dove la soluzione all’intricato enigma viene resa sotto forma di confessione del colpevole, restituita in una pergamena ritrovata in una bottiglia abbandonata al mare.
Gli elogi non si esaurirebbero qui, ma intendo sottolineare la più grande nota di merito del racconto, a parer mio, a partire da una critica.
La critica sta nella seguente domanda: la serie di delitti era davvero inevitabile? O, meglio, uno dei protagonisti della vicenda non sarebbe stato in grado di arrivare alla soluzione, usando un poco di intelligenza? Gli indizi a disposizione dei dieci piccoli indiani - e di noi lettori -, dopotutto, non mancavano… ma la risposta è negativa!
Per un piccolo indiano il cui crimine più grande è stato scoperto, si rende impossibile agire in modo lucido. Il solo personaggio che accarezza la verità è colui che non nega la propria colpa, ma che, però, non collega lo stile da tribunale dell’accusa al grammofono e le fredde e impeccabili ricapitolazioni dei fatti all’identità dell’assassino. Trattandosi di prove impugnabili per pochi istanti, dato il rapido susseguirsi dei tragici eventi, anche il più scaltro dei dieci non può che, infine, arrendersi, pur se dotato di pistola.
E noi lettori? Grazie ad un’attenta lettura avremmo potuto facilmente scoprire il colpevole? La risposta risiede nella prima lettura! Ecco, grosso modo, come è andata per gli amanti del genere e non solo: pagine divorate con avidità, lettura tutta d’un fiato conclusa in meno di due-tre ore, bramosia di arrivare al finale, nessun tempo o spazio per elaborare teorie o congetture, solo il desiderio di svoltare pagina per arrivare alla spiegazione dell’inspiegabile, del fiabesco, del mistico e della menzogna umana. Chi ha ingannato la giustizia è stato, ingiustamente, ingannato dal solo che non lo ha fatto.

IL FILM DI RENE' CLAIR - Il film del 1939 di Renè Claire rende un immediato omaggio al manoscritto della Christie, facendo l’opera fruibile al pubblico cinematografico. Dei diversi adattamenti successivi sul grande schermo, a parer mio, il lungometraggio di Renè Claire resterà il meglio riuscito, nonché il più fedele al romanzo, ad eccezione del finale.
Partiamo proprio da qui, dalla conclusione della vicenda, che se nella sostanza resta una pietra miliare della narrativa gialla, nella forma rappresenta una difficile sfida scenografica. Impossibile, difatti, restituire il finale del libro, col messaggio nella bottiglia. La stessa Christie, per adattamenti teatrali dell’opera, ideò un finale alternativo, in cui due indiani sopravvivono e ai quali il colpevole spiega lo svolgersi degli omicidi. Il finale del film di Claire percorre questa strada, fornendo una spiegazione delle vicende non dettagliata in ogni sfaccettatura come nel libro, ma esauriente e chiara, con i DOVEROSI FLASHBACK DI ALCUNE FASI DEI DELITTI.
Ottima la preparazione dell’alleanza tra i due personaggi chiave della vicenda, l’uno ignaro e l’altro colpevole, innocuamente mostrata prima della soluzione dell’enigma e successivamente approfondita nei flashback di cui sopra.
La filastrocca dei dieci piccoli indiani, di enorme importanza all’interno della storia, viene sufficientemente messa in risalto, grazie al brillante escamotage di intonarla come una sonata al pianoforte da parte di uno dei protagonisti, prima dell’accusa che dà il via alle morti.
Un’altra nota di merito al lungometraggio di Claire va all’aria di macabra comicità presente in alcune scene della pellicola: la faccia sempre ilare del colpevole, quasi paciosa; una sequenza in cui quattro personaggi si rincorrono a vicenda nei corridoi per poi sbattere l’uno contro l’altro, in una gag esilarante; l’agghiacciante - e al tempo stesso buffa - battuta finale di uno dei superstiti, che dice al barcaiolo sopraggiunto di “andare a chiamare gli altri ospiti”… Queste scenette alleggeriscono in modo sinistro l’atmosfera del film, che, d’altro canto, non suscita mai quel senso d’ansia che invece trasmette il libro e l’adattamento televisivo di cui si parlerà più avanti.
Nota negativa del lungometraggio, quindi, sta nella quasi totale assenza di suspense dal punto di vista strettamente stilistico, con la stessa colonna sonora che si ripete forse troppo, sebbene il climax sia presente con l’avanzare della trama. Il poco tempo a disposizione per il regista, inoltre, determina una scarsa introspezione dei singoli personaggi.
Per concludere, non posso che promuovere pienamente il film di Renè Claire, con una votazione di 9/10, con l’unica pecca di un’assenza scenica di tensione, dovuta anche agli stili registici dell’epoca (mai mostrato sangue o scene di violenza, bizzarra ma ininfluente contraddizione).

LA MINISERIE BRITANNICA - La miniserie britannica del 2015 “And then there were none” è un piccolo capolavoro, adattamento impareggiabile in termini di cast, fotografia e colonna sonora. Ma voglio subito iniziare dando il voto a questa versione del romanzo, che, nonostante ciò che è stato detto, non supera il 7/10…E adesso vi spiegherò il perché.
Prima di addentrarci nell’analisi, occorre specificare un aspetto estremamente rilevante. La miniserie è stata resa fruibile ad un vastissimo pubblico di spettatori, quelli televisivi, di cui molti non hanno avuto il privilegio di leggere il libro prima di approcciare allo sceneggiato, mentre altri – crimine grave – lo hanno letto una sola volta e se ne sono dimenticati… Hanno dimenticato la maniacalità dei dettagli, delle descrizioni, dei pensieri… La seguente analisi, perdonatemi, è dedicata solo a chi, come me, conosce ogni più insignificante virgola del manoscritto e che, dopo la scoperta di un’opera da tre ore dedicata al più grande romanzo giallo della storia, dopo un paio di scene, si sono commossi…ma, come dimostrarono i fatti, avevano torto…(cit.)
Come detto, gli aspetti scenici e televisivi sono eccezionali: cast di alto livello, colonna sonora che dà il giusto ritmo alla vicenda, ottima fotografia.
Inoltre, anche a livello di trama, lo sceneggiato è estremamente fedele al plot originale del libro. E l’incipit lo conferma subito: un flashback dell’ultimo piccolo indiano - cosa che si ripeterà -, quello macchiatosi del crimine più grave…ed al quale, giustamente, viene concesso il maggiore spazio in termini di approfondimento psicologico. Date le tre ore complessive di durata del telefilm (si tratta di tre episodi per un’ora ciascuno), non manca una buonissima introspezione anche degli altri personaggi.
Ottima la preparazione alla vicenda vera e propria, si diceva, fin dalle prime scene: l’arrivo dei diversi ospiti sul luogo dei futuri delitti, chi in treno, chi in automobile, e la traversata in battello. La precedente stesura a macchina da scrivere dei finti inviti mette i brividi: chi non conosce la vicenda troverà solo un guazzabuglio senza senso in quelle poche parole estrapolate da ciascuna lettera, chi già conosce anche i nomi dei mittenti si emozionerà (un nuovo invito a proseguire nell’analisi solo ai più accaniti fan). Un uomo, in una sala di registrazione, si domanda dubbioso se il disco che debba registrare sia davvero destinato ad una mess teatrale…e inizia il “J’accuse”.
Approfondendo ulteriormente il viaggio in treno, vengono fedelmente riproposti i primi inconsapevoli incontri tra i protagonisti, con, lasciatemi dire, la prima grande grave pecca di questo adattamento. Nel libro, infatti, a bordo del treno, un vecchio lupo di mare avverte un piccolo indiano sull’imminente tempesta in arrivo e sul fatto che il giorno del giudizio sia alle porte, concludendo con caparbietà il primo capitolo del manoscritto. Il tralasciare una scena del genere in una pellicola tanto lunga (non verrà riproposta nemmeno come flashback prima della morte dell’indiano in questione) è, a parer mio, un delitto mortale.
Parlando della filastrocca, viene data poca enfasi ai versi premonitori di morte, ma la filastrocca stessa, in sé, viene adeguatamente messa in luce, incorniciata non solo nelle stanze di tutti i dieci piccoli indiani ma anche in sala da pranzo, e più volte ripresa dalle telecamere.
Le premonizioni di morte vengono attribuite non tanto ai versi della filastrocca, oggettivamente difficili da memorizzare in un contesto non scritto, ma a frequenti allucinazioni in stile horror, che fanno la loro parte senza stonare.
Gli indizi vengono velatamente fatti trasparire – chiaramente chi conosce il libro è più che avvantaggiato – e la telecamera, negli attimi di tensione, lecitamente e a più riprese indugia sul colpevole.
I delitti vengono enfatizzati più che nell’adattamento di Renè Claire, tuttavia senza mai essere mostrati, né nel plot presente nè nei flashback. Questa singolare scelta, data la lunghezza della pellicola, fa storcere il naso in almeno un paio di circostanze, in quanto la totale mancanza della parte investigativa (il detective lascia spazio alla paranoia) avrebbe permesso un maggiore focus sulla parte macabra della storia. Specialmente nel secondo episodio della serie, invece, le morti si susseguono troppo rapidamente e, quasi, senza essere mostrate nè spiegate.
I rapporti fra i personaggi vengono grosso modo rispettati. Ad altri contesti di dibattito la storia d’amore inscenata tra due personaggi, nel libro sottointesa ma mai esplicitata. Data la conclusione della vicenda amorosa in questione, forse, sarebbe stato opportuno attenersi più rigidamente al libro. Ma si concede una licenza alla regia per questa scelta.
Arriviamo, ora, ad un grandissimo dilemma su una particolare scena inserita nell’ultimo episodio della serie, ancor prima dell’altrettanto discutibile scena finale. Il contenuto di quanto segue vuole essere una critica esclusivamente sulla funzionalità delle due scene precedentemente citate, in quanto l’esistenza della prima (una festa improvvisata tra gli ultimi quattro superstiti, ormai succubi dell’inevitabile), SEQUENZA AZZECCAT MA NON PRESENTE NEL LIBRO, riduce inevitabilmente la completezza della seconda (la grande rivelazione finale). Un buon compromesso sarebbe stato allungare di dieci minuti la pellicola…ma così non è stato. E ora passiamo ad analizzare singolarmente queste due fondamentali sequenze.
La prima, come detto, consiste nell’improvvisazione di una festa per sminuire la pazza tensione presente tra gli ultimi quattro superstiti, consci del fatto che si sarebbero apprestati a vivere la loro ultima notte. Spazio quindi ad alcol, fumo e droga (gentilmente offerta da un piccolo indiano deceduto). E la musica. In un cocktail paranoico lo spettatore assiste incredulo ma compiaciuto – vale anche per i fan accaniti – ad una scena nuova, mai vista né letta, il cui significato morale è azzeccatissimo, mentre non lo è la verosimiglianza della scena stessa. La musica che il telespettatore sente non è colonna sonora, è quella ballata all’ interno della storia da quattro persone che entro dodici ore sarebbero state uccise nei modi più assurdi, mentre in sottofondo riecheggia sinistra l’accusa al grammofono. Se ne vanno così dieci minuti di pellicola che revocano quel tono di macabra ilarità che Renè Claire aveva sapientemente conferito al suo lungometraggio, spalmata in più scene, senza però commettere l’errore che questa brillante miniserie si riserva negli ultimi minuti: una ricapitolazione dei fatti frettolosa nella scena finale, che lascia l’amaro in bocca tanto agli spettatori ignari dell’identità dell’assassino e del reale svolgersi dei fatti (vi avevo detto di andarvene!) sia a chi già sapeva.
Arriviamo così ad analizzare la scena finale dell’ultimo episodio della serie, il dipanamento di una matassa oggettivamente difficile da rappresentare tanto al cinema quanto in televisione, come già detto. La scelta degli autori del telefilm è quella di seguire fedelmente, fino all’ultimo, la storia originale: “…ad un pino si impiccò e nessuno ne restò”. Conclusa la lettura del romanzo, si poteva immaginare il colpevole nascosto nell’ombra, che assisteva da dentro un armadio o da dietro ad una porta all’auto-impiccagione dell’ultimo piccolo indiano, per poi mettere in scena il proprio omicidio dopo aver scritto e consegnato al mare la propria confessione. Come tradurre tutto ciò? Irrompendo nella stanza dopo che il cappio è stato infilato al collo, puntando la pistola all’ultima vittima e spiegando, con calma, il dipanarsi degli eventi, i motivi delle azioni e delle punizioni, gli inganni perpetrati e l’alleanza decisiva con una vittima ignara. Ma qui lo scivolone… accade tutto come previsto per una resa scenica, ma l’ultimo indiano, angosciato dall’improvviso arrivo del colpevole, scivola e resta in bilico col fiato in via di estinzione sulla sedia rovesciata. Scelta che compromette pesantemente, e in peggio, la velocità e la facilità di comprensione della spiegazione finale. Lo spietato serial killer dà una sommaria spiegazione dei fatti e di come lui, il solo innocente, abbia ingannato e ucciso coloro che avevano ucciso e poi avevano ingannato. Infine egli allontana spietatamente la sedia rovesciata da sotto i piedi della vittima, ultimo appiglio di vita del decimo piccolo indiano. Lo spettatore ignaro assiste impotente al suicidio finale del colpevole, scenograficamente accettabile, chiedendosi come mai siano andati i fatti. Chi invece sa tutto resta senza ombra di dubbio grato alla realizzazione di una sì tanto encomiabile adattazione di una leggenda che, come tale, resta inimitabile anche nella sua perfezione di stile e di logica delle vicende narrate.

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