Dettagli Recensione
Una lettura semplicemente imperdibile
«Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.»
Poter delimitare in confini ben determinati un romanzo quale Anna Karenina è semplicemente impossibile perché questo pilastro della letteratura russa è tanto un testo d’amore quanto, al contempo, anche molto molto altro.
La prima impressione che colpisce il lettore è senza ombra di dubbio la profonda stratificazione che ogni circostanza e che ogni personaggio presenta. Qualsiasi sia la voce narrante (che con perfetta maestria si alterna e interseca con l’altra dando vita ad un caleidoscopio di situazioni tra loro diverse e eguali e tutte riconoscibili nella realtà), per il conoscitore è impossibile non figurarsi nella mente i luoghi, i pensieri, le emozioni, le titubanze e le verità intrinseche in esse. A ciò si aggiungano le minuziose descrizioni, la stupendovele attualità e l’innata freschezza che vi sono racchiusi. Sinceramente? Tutto sembra tranne che trovarsi innanzi ad un capolavoro classe 1877 che si dipana tra Mosca e Pietroburgo.
L’attenzione del narratore si focalizza in particolar modo sulle condizioni socioeconomiche della Russia imperiale di Alessandro II, una fase storica e uno Stato dove tanti sono i cambiamenti, dove le famiglie più ricche risentono dell’abolizione del feudalesimo e dell’emancipazione dei servi, dove l’apparenza è e resta fondamentale tanto che anche il solo contrarre debiti è naturale pur di mantenere il proprio status.
E poi ci sono loro, l’amore indiscusso e senza confini pronto a correre ogni rischio e ad assumersi ogni responsabilità anche a discapito degli altri, dei costumi, dei figli, degli agii e delle esteriorità delle consuetudini dei balli e dei ceti più alti, dei luoghi comuni, tanta è la forza di un fiume in piena che si porta con sé, e l’animo umano. L’animo di ogni individuo, l’animo con tutte le sue fragilità, le paure, le debolezze, i timori, le sconfitte, con tutti gli orgogli e le delusioni ma anche con la forza e il coraggio di redimersi per dar spazio al pentimento, alle seconde possibilità.
A ciò si sommi uno stile narrativo corposo in perfetto stile russo ma tuttavia di una fluidità disarmante, elemento quest’ultimo che, son sincera, non ho ravvisato in autori quali Turgenev o ancora Dovstoevskij i quali, pressoché contemporanei a Tolstoj, sono soventi avere un’impostazione egualmente compatta, consistente, ma con una scorrevolezza diversa, più lenta, più farraginosa.
Il risultato è quello di un’opera impeccabile emblema del realismo. Un testo, ancora, la cui ispirazione è nata da “I racconti di Belkin” e da un fatto realmente occorso a cui l’autore ebbe modo di assistere: è inoltre da quest’ultimo considerato, nonostante le stroncature della critica al momento della sua pubblicazione, come il suo primo vero romanzo.
Anna Karenina è un libro senza tempo, coinvolgente, travolgente e empatico. Fa soffrire il conoscitore, ne favorisce l’immedesimazione e al contempo lo induce a riflettere. Anna è una donna del presente e del passato. È una donna che ha perso la sua “collocazione”, che si è vista mutare di ruolo rispetto alla prima disposizione con cui lo spettatore ha modo di conoscerla, è una donna coraggiosa che ha sfidato le regole, i precetti, le abitudini del tempo per crearne di suoi nuovi sino a rischiare di rimanerne essa stessa vittima. Ha osato, è andata oltre quello che era il suo secolo, è saltata nel futuro per poi tornare nel suo presente a dover fronteggiare quella colpa come una barriera/ostacolo invalicabile al raggiungimento della felicità. Una prima coppia a cui se ne contrappone una seconda, composta da Levin e Kitty, che invece quella felicità insieme riesce a raggiungerla e viverla. Con qualche turbamento interiore, con molte ponderazioni, con qualche rinuncia (in particolare Kitty è riuscita a dimenticare Vronskij e rinunciando a lui è riuscita a rinunciare a quella bellezza esteriore, quei pregi mondani, a quegli ideali poetici, a quei lidi incontaminati di salotti, balli, merletti a cui era abituata e in cui era cresciuta, alla sua giovinezza, per diventare una donna adulta, matura), ma vi riescono.
Con lauto ritardo giungo alla scoperta di questo indimenticabile scritto, uno scritto che ho rimandato per anni e per la cui odierna lettura devo ringraziare (vita natural durante) la nascita di una nuova amicizia e un inaspettato regalo di compleanno. Se non fosse stato per questa concomitanza di fattori probabilmente avrei rimandato ancora e ancora perdendomi e privandomi della conoscenza di una delle colonne portanti più belle, significative e memorabili della letteratura.
« – Se vuoi la mia confessione riguardo a questo, ti dirò che non credo che qui ci sia un dramma. Ed ecco perché. Per me l'amore... tutt'e due gli amori che, ricordi, Platone definisce nel suo Convito; tutt'e due gli amori servono da pietra di paragone per gli uomini. Alcuni uomini ne comprendono soltanto uno, altri l'altro. E quelli che comprendono solo l'amore non-platonico è inutile che parlino di dramma. Quando c'è un tale amore non ci può essere nessun dramma. Vi ringrazio umilmente per il piacere, i miei rispetti; ed ecco tutto il dramma. E per l'amore platonico non ci può esser dramma, perché in un tale amore tutto è chiaro e puro, perché...
In questo momento Lévin si ricordò dei suoi peccati e della lotta interna che aveva vissuta.»
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