Dettagli Recensione
Bellezza e decadenza
"La morte a Venezia" è un'opera particolare che anche a distanza di giorni, avendo rimuginato su quello che ho letto, non riesco a dire se ho apprezzato o no. L'unica cosa certa è che non è stata indimenticabile, almeno per quanto mi riguarda.
Sicuramente al centro di questa vicenda ci sono la psiche e i pensieri del nostro protagonista, scrittore famoso che stato quasi fatto oggetto di idolatria e che con le sue idee si è fatto guida di diverse correnti di pensiero anche contrastanti tra loro, nel corso del tempo. La cosa ancor più certa è che quest'uomo è anche simbolo di integrità, per quanto riguarda certi valori morali e sociali; un'integrità che nel corso di queste poche pagine vedremo sgretolarsi fino a diventar nulla.
La molla che fa scattare il tutto è un giovanissimo polacco, Tadzio. Il nostro protagonista rimane folgorato dalla bellezza di questo ragazzino; una bellezza che sembra degna di essere decantata dalle muse e che per come appare agli occhi dello scrittore sembra quasi l'incarnazione del protagonista di molti dei Sonetti di Shakespeare. Curiosa coincidenza, che mi sia ritrovato a leggere questi ultimi proprio in seguito a questo libro; mi sembra quasi che la devozione del Bardo per il suo amico sia una stretta parente dell'ossessione del protagonista di questa storia.
Il nostro scrittore è un uomo che non ama stare lontano dalla sua "comfort zone", eppure si tratterrà a Venezia per restare perennemente vicino all'oggetto della sua ammirazione. Mentre in passato al primo cenno di un problema non perdeva occasione per decidersi a rientrare a casa, in questo caso nemmeno la pestilenza che travolgerà Venezia sarà abbastanza da spingerlo a tornare.
Assisteremo dunque alla graduale decadenza di quest'uomo in nome della Bellezza; una devozione cieca che lo spingerà a far cose folli che tempo prima non si sarebbe mai sognato di fare: prenderà decisioni impulsive, si abbandonerà al sentimento, si lascerà andare a un atto meschino pur di non doversi allontanare dalla vista di Tadzio.
Il finale non è altro che l'epilogo inevitabile di uno spaventoso e improvviso declino.
"Aschenbach aveva affermato una volta in una sua pagina, alla sfuggita ma senza ambagi, che quasi tutto ciò che esiste al mondo di grande è una manifestazione di resistenza, è sorto cioè nonostante il dolore e la sofferenza, nonostante la povertà, l'abbandono, la debolezza fisica, il vizio, la passione e mille ostacoli."
Commenti
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considerate le recensioni entusiastiche che avevo letto su questo sito mi aspettavo di essere fucilato, per la mia opinione leggermente freddina... ma a quanto mi pare di capire non sono l'unico!
Vale.
forse puoi riprovare la lettura ora che sei una lettrice più navigata, considerato che in fondo è un libro piuttosto breve... ma non posso dirti che ti piacerà certamente, perché anch'io non ne sono rimasto entusiasta; soprattutto adesso che sono passati i giorni posso dire che forse abbasserei anche un pochino il voto...
Vale.
ricordo che acquistai "La montagna incantata" proprio perché ne avevi decantato le lodi... il problema è che ho avuto paura di cominciarlo, considerata la mole; non perché la mole mi spaventi, ma perché di un autore preferisco farmi un'idea con qualche libro più leggero, prima di affrontare le sue opere più "massicce".
Stessa cosa mi sta accadendo con Steinbeck; leggerò prima "Uomini e topi", e poi mi cimenterò in "Furore". La cosa bella è che già possiedo il secondo ma non ho ancora il primo! Paradossi della mia mente.
Vale.
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