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DECADENZA DI UNA FAMIGLIA ALTOBORGHESE
“I Buddenbrook” si situa, anche cronologicamente (è stato pubblicato nel 1901), nello spartiacque tra il classico romanzo ottocentesco e il moderno romanzo del Novecento. La saga della famiglia Buddenbrook, raccontata nell’arco di quattro generazioni (dal 1835 al 1877), non ha ancora quella forza allegorica che caratterizzerà più avanti “La montagna incantata”, eppure non c’è dubbio che, seppur muovendosi entro stilemi narrativi consolidati (ampie e dettagliate descrizioni di personaggi e ambienti, rigoroso punto di vista dell’autore, narrazione cronologica degli eventi, dei quali sono privilegiati quelli più rilevanti come nascite, morti e matrimoni), esso lascia intravedere alcuni piccoli, quasi indistinti eppure inequivocabili segnali di crisi e di inquietudine di un mondo destinato a tramontare di lì a pochi anni. Già la scelta di iniziare il romanzo con l’inaugurazione della prestigiosa abitazione nella Mengstrasse non è casuale. La famiglia Buddenbrook è ritratta all’apice della sua fortuna, nel momento di massimo splendore, ed è inevitabile che, sia pure tra alti e bassi (tra i primi, la fortuna politica di Thomas, che fa da parziale contrappeso alle disavventure matrimoniali di Antonie e al fallimento esistenziale di Christian), la sua storia descriva una parabola di lento, impercettibile ma inesorabile declino. In questo itinerario, il mondo dei Buddenbrook è descritto come un gigantesco Monopoli, dove doti coniugali, quote ereditarie e matrimoni di interesse informano le strategie dei personaggi-giocatori e dove ogni nuova generazione è un tiro di dadi che può aumentare o al contrario scompaginare la fortuna accumulata, la quale si sostanzia in case che si costruiscono o che al contrario passano di mano, per segnare, in quanto segni esteriori ma necessari di prestigio sociale, la vittoria e la sconfitta. In questo gioco ci vuole tanta testa e poco cuore, tanto rigore, ragionevolezza e decoro e poca istintività e passione: questa è l’alta borghesia mercantile descritta da Mann, ossessionata dalla sopravvivenza in un mondo spietato, in cui darwinianamente vanno avanti solo i migliori e in cui arte, amore e religiosità rappresentano piuttosto degli ostacoli e degli impacci che dei valori positivi. In questo senso, la caduta dei Buddenbrook può essere spiegata, anziché da cause esteriori, dalle predisposizioni spirituali dei suoi componenti maschili: se il vecchio Johann è un granitico uomo d’affari che non si lascia mai tentare da nulla che non siano i doveri imposti dal suo commercio e dalla vita pubblica, suo nipote Thomas soffoca fin da giovane (e con tardivo rimpianto) le sue inclinazioni meno prosaiche per diventare il logico erede della Ditta, mentre l’ultimo nato, Hanno, è la dimostrazione che una sensibilità esageratamente acuta (come quella di un artista) è incompatibile con il successo nella vita sociale, oltre che – come sempre in Mann – con la vita stessa. A un livello più generale, quello della società nel suo complesso, a una maggiore raffinatezza estetica e intellettuale, non supportata da adeguati valori etici e – soprattutto - dalla incondizionata fiducia nel proprio futuro, corrisponde – sembra dire lo scrittore – un’ineluttabile resa dei conti con la Storia (così è stato, per fare due soli esempi, per la Roma antica e per l’Impero austro-ungarico).
La ragione dell’interesse de “I Buddenbrook” non è difficile da trovare: più che da motivi psicologici (che sono marginali, perché i personaggi non evolvono praticamente mai e fin dal loro apparire si presentano con i tratti i quali, con minime varianti, li accompagneranno per tutta la vita) il romanzo trae il suo senso profondo e la sua morale dal lento lavorio della vita che, come il mare forma nel tempo nuove spiagge e ne distrugge altre, così, con la stessa imperturbabilità e la stessa indifferenza, innalza agli altari o getta nella polvere i suoi protagonisti. Protagonisti che Mann riesce, con la sua impareggiabile perizia letteraria, a rendere figure indimenticabili, da Elizabeth Kroger, che chiude gli occhi di fronte a qualsiasi contrattempo e lo allontana con un elegante “assez”; a Christian, l’irregolare della famiglia, il viveur dal fragile equilibrio nervoso e dalla debole volontà; giù giù fino ai personaggi minori - quali Klothilde, Sesemi Weichbrodt e le Buddenbrook della Via Larga - la cui persistenza negli anni dei rispettivi caratteri, assume quasi una connotazione caricaturale. Su tutti spiccano ovviamente Thomas e Antonie. Il primo, autorevole e oculato difensore del nome della famiglia, nasconde dietro la sua infaticabile attività e il suo rigido senso del dovere una mancanza di veri e propri interessi e una aridità dello spirito che col tempo lo consumeranno come una malattia. Egli, pur apparentemente così sicuro di sé, è sempre cosciente della situazione in cui versa la famiglia, e quando cita il proverbio turco “Quando la casa è finita, arriva la morte” prefigura pessimisticamente (così come aveva già fatto inconsciamente il piccolo Hanno quando “profana” il prezioso libro di famiglia) l’estinzione della casata. Ma è Antonie, la sventurata Tony, il personaggio più toccante del romanzo: una ragazza viziata, orgogliosa e infantile, che però, infantilmente, riesce a sopportare le più crudeli avversità della sorte e che un provvidenziale pianto consolatore di fronte a ogni tragedia familiare sa rimettere in carreggiata per continuare a portare a testa alta (perché “non bisogna dimenticare che il nonno andava in giro con un tiro a quattro”), anche quando è ormai rimasta tristemente sola, l’onore della famiglia.
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L'ho riletto recentemente e m'è piaciuto ancora di più che in prima lettura. Un capolavoro!
A proposito della patetica Tony, ho notato l'ironia, anzi l'umorismo, con cui l'autore rappresenta questo personaggio, forse l'unico che compare dall'inizio alla fine del romanzo. E' riuscito a non farne una macchietta, ma una figura 'tragicomica', quasi emblema emotivo della decadenza, lei che nel finale sembra tener il collegamento del variopinto gruppetto di donne , ormai non più giovani ed economicamente tutt'altro che abbienti : tutto ciò che è rimasto degli ambiziosi Buddenbrook.
Oltre al tema della fine di un'epoca, con il suo stile e le sue regole, che hai così ben messo in evidenza e che hai giustamente accostato al Gattopardo, a me piacque moltissimo il contrasto tra l'impulso alla vita contemplativa e il richiamo al dovere che le necessità della vita impongono. In questo senso Thomas impersona in contrasto molto sentito dalli stesso autore. E poi Toni, altro delizioso osopersonaggio, che contribuisce moltissimo alla piacevolezza del libro. Però leggendo il commento di Emilio (che saluto) mi viene il dubbio di averlo capito. Non avevo proprio colto il taglio ironico, anzi pensavo fosse il personaggio al quale l'autore stesso guardasse con maggiore simpatia...
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