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Il gioco del pellegrino
«Natale non sarà Natale senza regali», brontola Josephine March, detta Jo, quindici anni, secondogenita di quattro sorelle. Eh già, Natale senza regali. C'è davvero ben poco per cui stare allegri. Un tempo i March erano ricchi, poi il capofamiglia, un reverendo appassionato di altruismo e di filosofia, ha perso tutto per aiutare un amico in difficoltà. Meg, Jo, Beth ed Amy sono costrette a lavorare per aiutare i loro genitori e ora che il padre è partito per la Guerra di Secessione contro gli stati del Sud, la signora March non vuole che le ragazze sprechino denaro per acquistare doni mentre al fronte i soldati patiscono dure rinunce. Le quattro sorelle sono rassegnate a trascorrere il Natale senza ricevere i bei guanti nuovi desiderati dall’elegante Meg, né il libro che l’aspirante scrittrice Jo vorrebbe tanto per sé, né gli spartiti per il pianoforte che la dolce e timida Beth ama tanto suonare o le matite da disegno di cui la vanitosa e viziata Amy avrebbe proprio bisogno.
La mattina di Natale, però, al risveglio, le aspetta una sorpresa: ciascuna trova al cuscino un dono della madre, un piccolo libro che racconta la storia del pellegrino, un gioco che le sorelle March amavano da fare da bambine, quando indossavano un cappello, prendevano un bastone e una sacca da viaggio e attraversavano il giardino e la casa da cima a fondo fingendo di essere quattro piccoli pellegrini che attraverso prove, peripezie e pericoli di ogni genere giungevano infine in un regno incantato di pace e felicità. Meg, Jo, Beth ed Amy sono ormai troppo grandi per giocare, ma scoprono che in realtà quello del pellegrino è un gioco che si gioca per tutta la vita: superare ostacoli e avversità, migliorare se stessi e tentare di raggiungere il proprio piccolo paradiso personale è il percorso compiuto da ogni essere umano che aspiri a crescere, ovunque e in qualunque momento. Ha inizio così il cammino delle “piccole donne” di casa March, che tra bisticci, avventure, lacrime, risate e nuove amicizie si affacciano alla vita e conquistano la felicità, quell’idolo misterioso che per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo, è la stella che guida il cammino della vita.
"Piccole donne", pubblicato dalla Alcott nel 1868 e composto su ispirazione parzialmente autobiografica, è considerato all’unanimità il capolavoro dell’autrice, eguagliato solo dal suo sequel, "Piccole donne crescono", mentre i romanzi successivi della saga della famiglia March, "Piccoli uomini" e "I ragazzi di Jo", si attestano a un livello decisamente inferiore. Il romanzo rientra nel filone della children’s literature, che comprende, ad esempio, le opere di Frances Hodgson Burnett, Lucy Maud Montgomery e di una miriade di altri autori e autrici che sarebbe impossibile ricordare uno per uno. Alcuni di questi romanzi sono ben più noti di altri e continuano ad essere stampati, letti e amati a un secolo e più di distanza dalla loro prima apparizione, non solo da bambini e bambine, ma da lettori e lettrici di ogni età, e "Piccole donne" è uno di essi, capace di rivolgersi a ogni nuova generazione con forza, freschezza e fascino intatti. Eppure si ha la sensazione che negli ultimi decenni stia cominciando a passare di moda e in fondo è legittimo chiedersi se negli anni Duemila valga ancora la pena, per una ragazzina, di leggere la storia di Meg, Jo, Beth ed Amy, tutte perfettamente scolpite nell’aspetto così come nel carattere, meravigliosamente umane con i loro difetti e le loro difficoltà, cariche di sogni e ambizioni per il futuro.
Al contrario di come potrebbe apparire a una lettura superficiale, le protagoniste di "Piccole donne" non rientrano nello stereotipo femminile che vuole la donna relegata esclusivamente al ruolo di moglie e madre. Chi di loro abbraccia questo destino senza cercare altro nella vita, lo fa perché lo desidera e non perché è l’unica strada possibile. Louisa May Alcott, in fondo, è una femminista e attraverso il meraviglioso personaggio della signora March, madre affettuosa e intelligente, esorta le ragazze del suo tempo a non limitarsi a cercare un marito, ma a seguire le proprie inclinazioni, realizzare se stesse attraverso il lavoro, ottenere l’indipendenza economica, vedere il mondo, conservare sempre la propria dignità, scegliere un compagno senza calcoli economici o di convenienza, ma per amore, in piena libertà e consapevolezza. Al di là del sottofondo moraleggiante e rigorosamente cristiano, due aspetti inevitabili in un romanzo per signorine di metà Ottocento, "Piccole donne" trasmette un’idea di identità femminile tutt’altro che arcaica e forse sta qui la risposta più profonda alla domanda “Perché leggere ancora questo romanzo?”. Se l’importanza del lavoro, dell’indipendenza e del ruolo femminile nella società è un messaggio fondamentale nel 1868, quando la lotta delle donne per i propri diritti è iniziata da poco, lo è altrettanto nel XXI secolo, in un mondo che, nonostante gli enormi passi avanti compiuti, continua a favorire poco le donne e per certi versi sembra sul punto di compiere un’involuzione. Anche per le ragazze del 2018, come per quelle del 1868, leggere un romanzo come Piccole donne può essere un ulteriore, valido stimolo per comprendere da dove siamo partite, cosa è stato ottenuto e quanta strada resta ancora da compiere.
Ma la problematicità della condizione femminile, espressa soprattutto da Jo, che continuamente desidera quello che, in quanto donna, non può avere, ed è destinata a diventare una vera e propria icona letteraria, non è l’unico elemento su cui la Alcott vuole far riflettere le lettrici dell’epoca. L’etica del lavoro e del perdono, l’importanza della dignità e dell’onestà, la difesa dei buoni valori del passato trascurati dalla società moderna, sono elementi altrettanto importanti, eppure la narrazione non è mai pesante, noiosa o didascalica: l’autrice evita accuratamente i precetti e il dogmatismo che caratterizzano buona parte della letteratura per fanciulle del tempo e traduce i suoi ammaestramenti in avventure concrete e divertenti, narrate con uno stile fresco e vivace, che diventano altrettante lezioni di vita e possono essere comprese nel profondo o semplicemente gustate in superficie, tra lacrime e risate. Lo scopo didattico del romanzo, quindi, non guasta il fascino e l’incanto del piccolo mondo al femminile di casa March, con un unico, adorabile intruso, il vicino di casa Laurie, che con il suo fascino, la passionalità e l’intelligenza brillante si unisce alla dolce e riflessiva Meg, alla testarda e vivace Jo, alla timida e generosa Beth e alla capricciosa e ambiziosa Amy nella schiera dei migliori personaggi della letteratura per ragazzi di tutti i tempi.
Perché leggere ancora "Piccole donne", dunque? Perché è una storia senza tempo che sa parlare al cuore dei lettori oggi come ieri e che se non continuerà a farlo anche in futuro sarà una piccola, ma triste perdita. "Piccole donne", in fondo, è semplicemente un bel romanzo e in quanto tale non ha bisogno di altre motivazioni per essere letto.