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“E la morte? Dov'è la morte”
In fatto di letteratura russa, purtroppo, conosco ancora ben poco e di quel poco che ho letto finora (fatta eccezione per il geniale “Cuore di cane” di Bulgakov) sono rimasta abbastanza delusa. Stavolta, invece, “La morte di Ivan Il'i? ”, una vera sorpresa, mi spinge quasi a riconciliarmi con l'intera categoria.
Scritto sul finire ormai dell'Ottocento, questo lungo racconto di Lev Tolstoj si distingue fin dalle prime pagine per la scorrevolezza della sua prosa, sebbene l'argomento trattato non sia certo leggero né di poco conto; in esso, infatti, il grande scrittore russo affronta il tema della morte attraverso un personaggio, Ivan Il'i?, che dopo una vita alquanto insignificante, a causa di un male incurabile, finisce i suoi giorni in maniera altrettanto anonima e poco gloriosa; a ispirargli questa storia fu la vicenda di un suo conoscente che morì in quegli anni più o meno nelle medesime circostanze. Con una scrittura intensa e a tratti addirittura ironica, Tolstoj scava nell'esistenza di questo funzionario che, nel tormentato corso della malattia, si rende conto di aver vissuto come non si dovrebbe, inseguendo benessere economico e prestigio sociale per poi ritrovarsi in mano, anno dopo anno, soltanto infelicità e insoddisfazione anzitutto a livello familiare.
“E il suo lavoro, e il suo regime di vita, e la sua famiglia, e quegli interessi sociali e professionali, tutto questo poteva non essere come si deve. Tentò di difendere davanti a se stesso tutto ciò. E d'improvviso avvertì tutta la fragilità di quanto stava difendendo. E da difendere non c'era nulla.”
La consapevolezza di un trapasso oramai imminente e inevitabile, che inizia a ossessionarlo giorno e notte, non fa che mettere ancor più in risalto la menzogna, l'ipocrisia, le frivolezze di chi gli sta intorno, mentre l'insulso vuoto della propria vita si trasforma di colpo in una voragine spaventosa nella quale non può evitare di precipitare.
A mio parere, una lettura sempre attuale, ricca di innumerevoli spunti di riflessione, sullo sfondo dell'estrema fragilità della nostra condizione umana e dello scorrere impietoso del tempo che ci viene concesso, prezioso bene che per lo più dilapidiamo al momento dell'abbondanza per poi rimpiangerlo e rivalutarlo quando la clessidra a nostra disposizione si avvicina al capolinea.