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Vissuti Proustiani
Ciò che più ci colpisce della prosa di Proust, è il ritrovarci intessuti in frasi di velluto che accarezzano l’intimo, comune vissuto di chiunque si sia mai innamorato.
L’attenzione di Swann inizia a posarsi su un’unica, da quel momento indispensabile, persona. L’irrisorietà dilaga come una goccia d’inchiostro in una bacinella d’acqua su tutto ciò che non la riguarda. I luoghi che Odette frequenta acquistano un’attenzione speciale, così come le persone che lei conosce. L’insensatezza inizia a pervadere, come il dolore dapprima ininfluente di una puntura d’ape che si diffonde all’improvviso lungo l’arto, l’idea di potersi recare altrove; e la noia già l’uccide, al pensare di conoscere persone che con Odette non hanno nulla a che fare.
La sensazione magnifica, paurosa, di non essere più gli stessi, di non essere più soli. “E tuttavia, dal momento nel quale aveva sentito che una nuova persona si era così aggiunta a lui, la vita gli apparve più interessante”.
Questo stato idilliaco viene turbato da ciò che più contribuisce a rinforzarlo: i momenti di mancanza. La ricerca dei piaceri personali, prima protetta dal pensiero di avere su di noi l’affetto dell’altra persona, si sostituisce bruscamente con la ricerca ansiosa di quell’essere. La percezione del cui sguardo su di noi è ormai linfa vitale; scorrere che influisce, decisivo, alla nostra presenza o meno sul palco di ogni azione quotidiana.
Proust lo chiama il “Sacro male”: rende bene l’idea del nostro volgerci verso di esso, in quanto lo percepiamo come qualcosa d’innaturale, di oscuro come tutto ciò che concerne le questioni a noi più vitali. Una magia in grado di dar luce e colore a tutto il mondo attorno, dal momento in cui cambia il nostro esperire la realtà.
Viene evidenziato il processo dell’elezione di una persona, della scelta fra queste, unica, per uscire dal deserto d’indifferenza che fa da sfondo ad ogni banale contatto. Del timido e coraggioso riporre su un altro essere umano tali possibilità di sofferenza e di gioia; di essere noi, a porgergli una matita per poter aggiungere il più e il meno alla distesa - altrimenti neutra - di fatti ripetitivi e monotoni.
Il contrasto fra emozione e ragione; quest’ultima non del tutto d’accordo nel sospendere la logicità dei suoi piaceri, che è stata ormai invasa, deturpata, da scintille di fuoco supposte a non essere comprese, ma solo sentite. Abbandonare tutto per una immaginifica realtà superiore alle cose concrete, per la sete di un incanto sconosciuto a cui l’intelligenza non può approdare. Attingere il circostante per la via d’un solo, adesso chiaro, senso.
La distanza - destinata ad essere ben presto svelata - fra l’immagine che lui si stava pian piano costruendo della sua amata e la vita, effettiva, di lei. La vita quotidiana di Odette è oscura agli occhi di Swann: lui continua ad immaginarsela dai pochi sprazzi di lei che nei loro incontri gli divengono noti, dalle parole dette più che dal non detto; per cercare di inquadrare l’indefinitezza di un essere altro, nei momenti angoscianti in cui la sua vista non può monitorarla.
La discesa inizia ad essere percorsa quando l’infatuazione di Swann ha ormai raggiunto la vetta e Odette, sentendo forse di aver compiuto il suo lavoro di seduttrice, si mette in cerca di altri grazie ai quali possa ancora mettere alla prova le sue doti femminili. Come se fosse un gioco, per lei, mentre per Swann è ormai una questione vitale.
Come due calamite che non possono più staccarsi, tanto forte e? l’attrazione instauratasi; al momento del ritiro indietro di Odette - non gli invia più lettere, non lo invita più ad uscire negli aristocratici salotti dove usavano incontrarsi - Swann non fa che cercarla ancor di più, adesso che non ha più la certezza di poterla incontrare ogni sera. Privato di un’ingente quantità di tempo in cui il tocco della bacchetta magica di Odette rendeva tutto più vivibile, dell’armonia musicale che con la sua semplice presenza (seppur spesso da lui criticata, a volte sgradevole!) lei componeva; le giornate di Swann iniziano a farsi angoscianti.
Cerca di ricreare quell’armonia - con cui gli è ormai divenuto così familiare esperire il mondo - da solo, o con la presenza di altre persone: ma il dardo è tratto, la scelta compiuta e nessuno oltre Odette riesce più a far calare su di lui la pace. Inizia allora a comprarla: le dà somme di denaro, le spedisce giornalmente regali sperando che, per doverlo ringraziare, lei debba poi per forza passare a suonargli il campanello. I sentimenti di Odette nei suoi confronti passano in secondo piano: l’importante, adesso, è averla.
Desidera, Swann, andar via da Parigi, recarsi a continuare gli studi a lui cari nella casa di campagna. Ma cosa ne godrebbe, adesso?
Dal momento in cui Odette non c’è più, non saprebbe nemmeno quale sia l’odore delle foglie umide al mattino, o quale forma e chiarore assuma la luna alla sera. Allora preferisce non andarsene, non affidare il suo cuore a luoghi a lui estranei. Rimane a Parigi, anche quando lei è fuori città. Almeno quelle strade possono parlargli di lei, testimoniare che quell’amore è esistito davvero. Gli fa più male, andarsene: è uno straniero, senza di lei, un vagabondo mancante di meta. La sua unica proprietà? Due mani raccolte in una conca di domanda d’affetto, rivolta a passanti che proseguono ognuno per la propria strada.
Così lei se ne va spesso via per viaggi, non dicendogli mai che il suo amore è finito ma dimostrandoglielo, senza parole, nell’inconfutabilità del suo comportamento.
Swann è consapevole che quest’incanto è presente solo per lui. Che solo per lui ha il rigore d’una legge, e che con un po’ di buona volontà e di esercizio potrebbe estirpare il suo male. Ma cosa gli rimarrebbe, adesso? Adesso che il suo male è tutto se stesso.
Non può più tornare ad osservare il mondo, attraverso il monocolo della normalità.
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