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La Terreur
Un romanzo di grande spessore, in ogni senso, questo che Victor Hugo pubblicò nel 1874, ultimo tra i suoi capolavori! Uno spettacolare affresco di un periodo molto particolare nell'ambito di quell'avvenimento epocale che fu la Rivoluzione Francese: il 1793, l'anno del Terrore.
La vicenda si svolge principalmente nella Vandea, terra “aspra e forte che nel pensier rinnova la paura” e che, dopo la caduta della monarchia e la decapitazione del re Luigi XVI, insorge contro il nuovo regime repubblicano, dando così avvio a una feroce guerra civile combattuta fra le truppe regolari francesi e le bande di contadini vandeani pericolosamente nascoste tra i fitti boschi della regione. A capo di queste ultime, il marchese di Lantenac, vecchio aristocratico fedele ai valori dell'Ancien Régime che, con le forze raccolte attorno a sé, diventa ben presto una spina nel fianco che il governo repubblicano intende sradicare una volta per tutte.
Sullo sfondo della grande Storia, che catapulta il lettore addirittura al cospetto della triade rivoluzionaria Robespierre-Danton-Marat e persino nel bel mezzo di una seduta dell'assemblea della Convenzione, si muovono dunque diversi personaggi con le proprie piccole storie, dal nobile Lantenac alla miserabile vedova Michelle Fléchard, mater dolorosa che vaga alla ricerca ostinata dei suoi tre bambini dopo che le vengono portati via durante gli scontri.
“Une veuve, trois orphelins, la fuite, l'abandon, la solitude, la guerre grondant tout autour de l'horizon, la faim, la soif, pas d'autre nourriture que l'herbe, pas d'autre toit que le ciel.”
E proprio le vicissitudini di questa umile famigliola, trovatasi suo malgrado tra le violenze della guerra civile, offrono pagine di grande intensità, rivelandosi altresì determinanti per la sorte del marchese di Lantenac.
Nonostante un inizio che sembra stentare a entrare nel vivo della storia e la pesantezza di alcuni passaggi qua e là nel corso della narrazione, da un certo punto in poi il romanzo si fa via via decisamente più appassionante e non avaro di colpi di scena capaci di tenere ben desta l'attenzione di chi legge, complice una scrittura magnifica, potente, a tratti disarmante (godibilissima anche in lingua originale!) che spesso s'interroga, e ci interroga, su temi etici. Attraverso i suoi personaggi, infatti, Hugo ci mostra come bene e male non sempre abbiano un confine poi così netto e che pure il colpevole di crimini indicibili si possa riscattare salvando la vita a tre poveri bimbi.
Vecchio e nuovo, inoltre, si contrappongono su più livelli: da un lato, Lantenac e suo nipote, il giovane capitano Gauvain, fiero e irriducibile monarchico il primo, convinto repubblicano il secondo; dall'altro, lo stesso Gauvain e il suo vecchio precettore Cimourdain, i quali, benché entrambi sostenitori dell'ideale repubblicano, ne incarnano due visioni differenti, nonché due concezioni inconciliabili della giustizia in nome della quale si deve agire: dura e inflessibile, pressoché spietata, per Cimourdain che con quel suo “Force à la loi!” nel momento estremo ribadisce con durezza il proprio ruolo di delegato del Comitato di salute a pubblica a dispetto del suo essere in origine un prete, al contrario del suo allievo di un tempo, secondo cui la giustizia dev'essere anche capace di atti di clemenza, controbilanciando le colpe con i meriti dell'individuo, in nome di un senso di umanità che non dovrebbe mai venire meno.
Un romanzo che si fa esplicita condanna della guerra in generale e dell'insensatezza della violenza (anche di quella da parte dello Stato che mette a morte i propri cittadini, nel solco, del resto, di quanto già espresso oltre quarant'anni prima con “L'ultimo giorno di un condannato a morte”), un finale inatteso e sorprendente, in cui si soffre e si spera fino all'ultimo straziante rullo di tamburi, mentre sfilano suoni e immagini che soltanto una grande penna poteva imprimere su carta.