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Una pietra miliare della letteratura gotica
Frankenstein di Mary Shelley è a buon diritto una pietra miliare della letteratura gotica.
Castelli oscuri, mostri, esperimenti, sono gli ingredienti di una storia che ha lasciato il segno, e tutt'ora lo lascia nella cultura letteraria occidentale.
Il dott. Victor Frankenstein, dedito allo studio della filosofia naturale, crea dalle sue mani (da qui il sottotitolo del libro "Prometeo moderno) una creatura dalle mostruose sembianze umane.
Ma l'esperimento non va come Frankenstein aveva immaginato e, rifiutando la propria creazione, la lascia libera per il mondo.
Queste le premesse sulle quali si innesta una storia fatta di orrore, tenerezza, romanticismo e drammaticità. L'eterna lotta tra creatura e creatore, quasi una parafrasi dell'uomo e dio, arriva all'atroce culmine della distruzione di entrambi.
La storia è raccontata attraverso le lettere e gli appunti che il comandante Robert Walton, scrive alla sorella Margareth. Ciò crea una assimilazione (molto moderna direi) tra narratore e lettore, al punto che tutti i sentimenti che derivano dalla lettura ne escono ampiamente amplificati e più percepibili.
I personaggi sono tutti vagamente accennati, axd eccezione di Victor che appare con le sue debolezze e le sue paure. La creatura stessa, in fondo, stenta ad avere una propria individualità al punto di non avere nemmeno un nome.
Lo stile del racconto è piacevolmente acerbo, ampolloso in alcuni tratti e denota l'appartenenza al genere gotico imperante al tempo.
Certamente la storia va letta, anche più volte, non fosse altro per rendere giustizia ad un romanzo troppo mortificato dalle riduzioni cinematografiche che non hanno in alcun modo colto l'essenza della drammaticità della storia che la giovane Shelley ha voluto tramandare.