Dettagli Recensione
Un perpetuo romanzo
“Quel ragazzo non è un poeta, è un perpetuo romanzo”.
Così esclama un personaggio sul finire di questo impegnativo volume della Commedia umana, a siglare l’uscita di scena di Lucien de Rubempré, uno dei protagonisti principali accanto all’amico, poi cognato, David Séchard e alla sorella Eve.
Quanto le sue peripezie dalla provincia a Parigi sono in divenire perenne, tanto lo sono quelle concomitanti della sorella e del cognato, la cui vita è legata alle ambizioni del giovane che parte alla volta della città per innalzare la sua condizione sociale e inseguire le sue illusioni fallaci che lo lusingano e lo ingannano facendogli sognare una vita diversa, da nobile e ricco oltre che da poeta.
La sua avventura parigina attraversa alti e bassi e lo conduce alla perdizione dell’animo attraverso una serie di esperienze che ricalcano episodi ben noti della biografia balzachiana, sia nella scelta dell’ambientazione provinciale e cittadina, sia nelle attività lavorative da lui svolte e in questo romanzo ampiamente descritte e documentate in pieno clima di Restaurazione: il tipografo e il giornalista. Se la prima dà modo di ripercorrere le evoluzioni tecnologiche che hanno portato all’affinamento della produzione di carta partendo dagli stracci per giungere alla sperimentazione di svariate fibre vegetali, la seconda permette invece di capire il difficile mondo dell’editoria colliso con il potere affermato o da riaffermare.
È una lettura complessa per la sfaccettatura del reale che rappresenta, per la lunghezza della narrazione che nell’ edizione da me letta oltrepassa le settecento pagine e per la summa dei motivi balzachiani che vi si ritrovano. A tratti l’ho patita con la forte tentazione di allontanarmi da una narrazione eccessivamente diluita ma ogni mattina, nel mio quotidiano appuntamento con la sua mole, mi ci sono ritrovata e il vissuto dei personaggi principali mi ha catturata innescando il meccanismo del voler almeno conoscerne il destino. Altra molla che mi ha portato a resistere è la meravigliosa rappresentazione di un mondo, quello francese del primo ventennio dell’Ottocento, che passa dalla vita di provincia a quella parigina lasciando in entrambi i casi affascinati, si entra nelle case, nei salotti, nei teatri, si va in carrozza, si conosce il mondo di una tipografia, i suoi odori le sue geometrie, si passa dai pranzi luculliani alla fame più nera con una potenza descrittiva che non ha eguali.
A fine lettura ci si ritrova orfani di quel mondo e di quei personaggi e allora si esprime subito l’intenzione di conoscere il destino di Lucien che si sa essere affidato al volume Splendori e miserie delle cortigiane a conclusione di un dittico inseparabile.
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Eugenie Grandet
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