Dettagli Recensione
Immaginazione o realtà?
«”Perché si muore?”
“Forse perché non si sogna abbastanza”
“È possibile… Ma allora non varrebbe la pena di chiudersi nel sogno e dimenticare la vita, perché la morte si dimentichi di noi?»
Scritto nel 1913 e rielaborato nel 1915 per essere pubblicato su Orpheu una rivista dalla, purtroppo, breve vita, “Il marinaio”, è un dramma caratterizzato da forti simbolismi e che nasce e si sviluppa interamente nel lasso temporale di una notte e all’interno di un unico luogo, una camera dalla forma circolare sita in un castello. In questa si apre una sola finestra dalla quale si intravedono due monti e il mare. Tre donne, rigorosamente abbigliate in bianco e di cui non conosciamo l’identità, vegliano sul feretro contenuto in una bara di una quarta fanciulla il cui alito di vita è venuto meno. Sono sedute, le tre, e al loro fianco splende la fiamma di quattro candele, una per ciascuna (defunta compresa). In un gioco di specchi queste iniziano a parlare al passato e del passato, mettendosi a nudo, interrogandosi per prime su un tempo che non riconoscono quasi come se mai lo avessero avuto e vissuto. Seguono negazioni su negazioni, il nostro essere finisce con l’assumere una forma circolare dove non vi è inizio o fine, dove la realtà non può essere manipolata, dove la convinzione della sua esistenza è messa in discussione. Si approda a un passato infelice, che non ha possibilità di migliorare nemmeno nel futuro più prossimo e che apre le porte alla forza dell’immaginazione che è la sola che concede di continuare, di farci vivere, di farci andare avanti.
Sino a che una delle tre vegliatrici introduce lui, il marinaio. Naufrago su una isola deserta egli è l’emblema della malinconia per la vita passata, trascorsa, precedente. È nostalgia. È nostalgia che può essere combattuta solo con la forza di sognare una realtà anteriore ricca di dettagli, colori e persone che finisce con l’offuscare quella che invece era stata la sua vita vera. Ma chi è davvero il marinaio? Qual è il suo ruolo? Qual è il suo rapporto con l’acquisita coscienza? E le tre vegliatrici? Quale sarà la loro sorte? Il loro compito?
Il testo si presenta dunque come un elaborato dal gran contenuto filosofico, assume la forma teatrale e nella mia edizione non mancava la possibilità di confrontarsi con il testo a fronte, elemento che ne ha avvalorato ulteriormente la pregiatezza nonostante la brevità dello stesso. Pessoa riesce in poche pagine a dar vita ad una vera e propria riflessione sull’io, sull’individuo, sulla forza e potenza dell’arte, sulla necessità, talvolta irrefrenabile, di abbandonarsi alla costruzione di una realtà diversa fino a rendersi conto, nella sua intellettualità, che nulla può – nemmeno i mondi interiori – sciogliere la consistenza e la resistenza della dimensione in cui ciascuno vive e esplica la sua vita. Nessun sogno, nessun mondo interiore può farlo. E dietro alla narrazione, all’analisi più saggia e erudita non manca quella politica di un mondo, quello del letterato portoghese, in evoluzione, in prossimità di una guerra e di sconvolgimenti economici affatto irrisori.
«Le mani non sono vere, non sono reali… Sono misteri che abitano la nostra vita…»
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Il libro è piaciuto anche a me : un testo di pura poesia.