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Dov'è di casa la moralità?
È il romanzo del successo, quello avvertito dall’autore nella fase creativa e che lo portava a dire, mentre entrava in casa della sorella: ”Salutatemi perché sono semplicemente sul punto di diventare un genio”, e quello del pubblico che, dopo aver letto il romanzo a puntate su rivista, lo accolse con grande calore nella prima pubblicazione in volume.
Al centro della narrazione il triste destino di Papà Goriot, “l’ultimo dei miserabili”, padre di una contessa e di una baronessa, unica ragione di vita di un vedovo che da pastaio era riuscito a trasformarsi in un industriale senza però acquisire nella scala sociale uno stato diverso da quello di novello borghese. Ciò non basta, Parigi nel primo ventennio del diciannovesimo secolo è spietata e crudele e ancora incredibilmente nobile: una società, sì ampiamente stratificata ma oltremodo elitaria, come prima della Rivoluzione. Lui riesce a maritare le figlie con dote e rendite generose, l’una sposa un banchiere, l’altra un esponente della piccola nobiltà, tra di loro però si instaura un conflitto fatto di gelosie, di arrivismo supportato dalla generosità paterna che progressivamente si spoglia di ogni avere per non negare alle figlie ingrate un abito, una festa, un eccesso. Papà Goriot subisce il suo declino mentre è ospite di una pensione borghese, Casa Vauquer, tra il Quartiere Latino e il Faubourg Saint-Marceau.
Lì è ospite, tra una girandola di casi umani, anche il giovane provinciale venuto dal sud per studiare in città a spese di grandi sacrifici della sua famiglia, è Rastignac, anima nobile destinata a supportare le ultime pene di papà Goriot, nel frattempo cerca con tutti i mezzi di insinuarsi nella tana del lupo. Usando una lontana parentela, entra in contatto con le due figlie del pensionato, ne scopre il legame paterno quasi taciuto, nascosto e proibito dai due generi , frequenta il bel mondo parigino, ne scopre gli abissi, ingoia amaro e si fa fagocitare. Ne conosceranno, i lettori, i destini in altri capitoli della Commedia.
Questo è infatti anche il romanzo che tesse le trame fra i diversi volumi, restituendo personaggi memorabili, come il bandito Vautrin, in sviluppi successivi che meritano sicuramente una ulteriore passeggiata letteraria. A leggere l’opera di Balzac ci si ritrova infatti come davanti al grande schermo, una spietata carrellata di immagini, di episodi, di destini , col gusto tutto moderno di eccitarsi a ritrovare uno dei protagonisti in puntate successive, meccanismo molto noto a noi utenti della moderna cinematografia. Ma sarebbe davvero riduttivo parlare di Balzac in questi termini perché alla base della sua opera c’è in realtà un vero e proprio linguaggio teatrale, in questo romanzo in particolare, nell’ultima delle sue quattro ampie sezioni si sta come a teatro, si assiste a dei veri e propri movimenti scenici che da soli mi ripagano di una certa insofferenza patita a metà dell’opera quando il divario cronologico mi ha particolarmente distanziato dalle falsità del bel mondo parigino, arrivando a tratti ad annoiarmi.
È inoltre, questo, il romanzo dei luoghi, quelli borghesi contrapposti a quelli aristocratici o dei nuovi ricchi, la descrizione della pensione è imperdibile, è anche il romanzo ancora una volta delle illusioni, anticipatorio del successivo ”Illusioni perdute”, è inoltre il romanzo delle vanità che accendono e nutrono le passioni.
La moralità non vi abita, se non in rari casi, schiacciando l’essere umano costretto a soccombere, anch’egli disilluso. Spietato realismo con qualche pennellata da melodramma a rendere il tutto appena un po’ più umano, la corruzione dell’animo non salva nessuno.
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