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Beautiful levate! (Devono passare le pecore)
Sembra proprio io mi debba ricredere: la Newton Compton non è la sola a poter distruggere dei capolavori della letteratura classica con delle edizioni pessime. In questo caso la Garzanti è riuscita nella combo perfetta, associando un’edizione scadente ad una copertina ingannevole; il lettore infatti, vedendo il poster del film datato 2015, è portato a pensare che il volume presenti un nuova traduzione, ritrovandosi poi con una traduzione del lontano 1955, che fa sentire tutti i suoi anni.
A rendere quest’edizione ancor più irritante sono i nomi tradotti in italiano, come già avevo riscontrato ne “La lettera scarlatta”; la maggior bizzarria è che non sempre i nomi sono stati adottati (si trovano così a coesistere Giuseppe e Mark) e non sempre nello stesso modo (William diventa Guglielmo, ma il diminutivo rimane Willy!). Cosa possiamo salvare quindi? Le note esplicative a fondo pagina, utili a comprendere meglio le molte citazioni, e la parte biografica sull’autore nell’introduzione.
Proprio per merito della biografia, il lettore può intravedere la natura di poeta di Hardy, prepotente nelle ricercate descrizioni, soprattutto dei paesaggi di campagna.
La storia segue per alcuni anni la vita di Bathsheba Everdene, giovane fanciulla inglese che, sul finire dell’Ottocento, si ritrova improvvisamente ricca fittavola di una fattoria nella placida cittafini di Weatherbury. Scoperto che il suo fattore la sta derubando, la ragazza prendere una decisione molto difficile e dai più contestata: licenziare il dipendere e farsi carico personalmente della sovrintendenza in tutte le attività agricole.
Di fianco alle vicissitudini agresti, tra le quali possiamo ammirare la tosatura delle pecore come pure i tentativi di tenere il raccolto al riparo dalle tempeste, troviamo le immancabili storie d’amore. La bella protagonista farà invaghire ben tre pretendenti: il pastore Gabriel Oak, che la incontra ben prima della sua ascesa sociale e a dispetto del rifiuto ricevuto alla sua proposta di matrimonio le resta sempre fedele; l’agiato fittavolo William Boldwood, suo vicino del quale attirerà le attenzioni per scherzo salvo poi ritrovarsi perseguitata in modo quasi ossessivo; l’ultimo a fare il suo ingresso in scena è il Sergente Frank Troy, giovane avventuriero che incanta la protagonista con la sua corte spietata.
La trama ricorda a tratti il capolavoro di Jane Austen “Orgoglio e pregiudizio” specialmente nella scena in cui Boldwood, al fine di allontanarlo da Bathsheba, offre del denaro a Troy in caso di un suo matrimonio con Fanny Robin; analogamente, Darcy pagava per le nozze tra Wickham e Kitty. Hardy crea però delle svolte narrative ben diverse e decisamente inaspettate.
Altro omaggio all’opera austeniana è il personaggi di Bathsheba, che per molti versi ricorda Emma protagonista dell’omonimo romanzo, soprattutto per il desiderio di essere indipendente e libera dalle convenzioni sociali che la vorrebbero più remissiva ed accomodante. Bat (come l’ho amichevolmente sopranominata) condivide con la signorina Woodhouse anche un caratterino niente male ed una lingua davvero tagliente; sono sicuramente queste sue imperfezioni a renderla piacevole ai lettori.
Anche i personaggi maschili ottengono il loro spazio e vengono analizzati a fondo, rivelando dettaglio psicologici inattesi. Tra i tre, forse proprio Oak -benché in pratica sia il protagonista- è il meno interessante, accaparrandosi comunque l’affetto di Bat (e il mio).
È d’obbligo menzionare anche il ricco parterre di personaggi secondari, formato dai dipendenti di Bat, e dai paesani in generale, si tratta di un agglomerato di figure divertenti e genuine, che fanno immancabilmente sorridere per la loro semplicità.
Proprio in questi villici si ha la massima espressione di quello che è uno dei temi centrali del romanzo, ossia l’esaltazione della placida vita di campagna posta in contrapposizione con la frenesia cittadina, si pensi per esempio che in quegli anni il veloce sviluppo dell’industria porto alla nascita della manifestazione nota oggi come Expo.
Ho apprezzato molto lo stile di Hardy, di cui desidero senza dubbio leggere altre opere, reso peculiare dai numerosi riferimenti ai testi biblici e alla mitologia greco-romana.
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Commenti
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Come ho scritto nella recensione, la traduzione è davvero datata, ma quello che mi ha fatto innervosire sono stati i nomi tradotti.
Peccato perché secondo me il romanzo merita davvero, tanto che "Tess dei d'Urberville" l'ho comprato in edizione Bur.
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