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La musica segreta della vita
Amore e odio. Passione e amicizia. Desiderio e spiritualità. Campi di battaglia e salotti aristocratici. Contadini e imperatori. Vita e morte. Città e campagna. Corruzione e innocenza. Balli di corte e fetide prigioni. Soldati e burocrati.
C’è la vita intera nel monumentale romanzo storico che Tolstoj inizia a comporre nel 1863, spinto dalla fortissima esigenza personale di comprendere le cause prime di tutti gli eventi, capire perché le cose avvengono come avvengono e non altrimenti, dare una risposta alle grandi questioni etiche e morali che sfidano ogni grande pensatore: cos’è il bene e cos’è il male, qual è l’origine dell’universo e lo scopo dei suoi abitanti, quali sono le cause di tutto ciò che avviene. E solo la storia, intesa come la somma degli avvenimenti concreti e dell’esperienza reale vissuta da uomini e donne in ogni tempo e in ogni luogo, può dare le risposte. Il suo interesse per la storia, dunque, nasce da qui. Allo stesso tempo, però, Tolstoj avverte una profonda insoddisfazione per la storia così come è scritta dagli storici, i quali, soprattutto tra il Settecento e l’Ottocento, attribuiscono gli eventi a un’unica causa e in particolare alla volontà del “grandi”, i Napoleoni e gli Alessandri che guidano le masse verso i loro scopi. Eppure, come dimostrano la ragione e l’esperienza e come dimostra Tolstoj nella sua opera, la volontà di un singolo individuo è incapace di controllare da sola il gran caos degli eventi.
È da qui che nasce "Guerra e pace", il monumentale affresco storico che racconta le vicende di tre grandi famiglie russe aristocratiche – i Rostov, i Bolkonskij e i Kuragin – nel periodo delle guerre napoleoniche, dalla volontà di mostrare lo scarto tra il magma della realtà e il racconto realizzato dagli storici o da chiunque pretenda, a posteriori, di incasellare gli eventi in categorie razionalizzanti e formalizzanti. Già nei "Racconti di Sebastopoli" – frutto dell’esperienza della guerra di Crimea – e nel frammento "I Decabristi" – romanzo incompiuto che precede "Guerra e pace" dal punto di vista compositivo, ma lo segue dal punto di vista cronologico, e racconta le vicende del decabrista Pierre e di sua moglie Nataša, tornati in patria dall’esilio quando lo zar Alessandro decide di graziare i superstiti dell’insurrezione decabrista – Tolstoj fornisce una rappresentazione della storia e della guerra come eventi caotici, incontrollabili e incomprensibili, ma è in "Guerra e pace" che la sua concezione della storia e della vita trova l’espressione più piena, completa e profonda.
Tolstoj percepisce il reale nella sua molteplicità, come un insieme di spinte centrifughe e particolari frammentari e disgregati: le cause dei fatti si diffraggono in milioni di sottocause, ogni evento si perde in un pulviscolo di eventi e tutto ciò che accade è una complessa, fitta trama di innumerevoli circostanze, cause e conseguenze che l’uomo, poiché non è onnisciente, non potrà mai conoscere nella loro totalità. All’interno di questo quadro vasto e variegato, l’uomo è un atomo che inconsciamente diventa, insieme a milioni di altri atomi, strumento atto a perseguire i fini della storia. E ogni singolo atomo, ogni singolo frammento, è immerso in una sorta di fluido connettivo, impalpabile e misterioso, una musica segreta che Tolstoj chiama “vita” e che unifica ogni cosa.
Nella storia i singoli frammenti che compongono la vita si dispongono in una ferrea catena di necessità, un concatenarsi di infiniti eventi e fenomeni necessari, ma per lo più incomprensibili e incontrollabili per l’uomo, che seguono schemi mutevoli e non sempre prevedibili. Di conseguenza, qualunque pretesa di assoggettare il flusso della realtà a formule scientifiche non può che essere menzognera.
Perché tutto questo accade? Non c’è un perché. A fare la storia, scrive Tolstoj, è Dio, che si rivela nella compatta catena degli eventi. E l’uomo, ogni singolo individuo, minuscolo e indispensabile anello della catena, si illude di essere libero, di poter puntare a un obiettivo prefissato, di compiere un grande gesto che forse, chissà, cambierà il corso degli eventi. La storia, invece, si serve di lui, dei suoi piccoli desideri, delle sue illusioni, per architettare qualcosa di grandiosamente diverso che sfuggirà sempre alla sua comprensione e al suo controllo. Chi crede di agire volontariamente nella storia per inseguire uno scopo si illude e l’uomo che svolge una certa parte in un evento storico non ne coglierà mai il senso.
Questo è, secondo Pietro Citati, «il dramma sacro e inevitabile della storia» e coloro che sono incapaci di accettare questa realtà rappresentano la storia come una successione di libere scelte e attribuiscono la responsabilità degli eventi ai “grandi uomini”. A fare la storia non è altro che il concorrere spontaneo e imprevedibile di migliaia e migliaia di cause. E il libro arbitrio non è che un’illusione: l’uomo moderno immagina la libertà di azione proprio dove la legge di necessità la riduce al massimo, nella storia, nella guerra, dove i giovani e gli ingenui credono di poter conquistare la grandezza e la gloria imitando gli eroi come Napoleone, salvo poi scoprire che la storia non è guidata dalla volontà degli imperatori e dei generali e anzi sfugge sistematicamente al loro controllo e l’accurata descrizione dei piani di battaglia preparati dagli strateghi a confronto con la caoticità della guerra lo dimostra. Napoleone e lo zar Alessandro non possono fare altro che recitare la parte di artefici apparenti della storia che gli è stata assegnata dal destino.
Tolstoj arriva così a formulare un celebre paradosso: quanto più ci si avvicina all’“alto”, agli imperatori, ai generali, tanto più la libertà dell’uomo diminuisce, mentre se ci si allontana dalla sfera dell’ “alto” e ci si avvicina a quella del “basso”, diminuisce l’assenza di libertà, aumentano i margini di scelta e di conseguenza anche le possibilità di vera grandezza.
È questa la solida impalcatura nella quale il grande autore russo collosa i suoi personaggi e le loro storie. Il giovane principe Andrej Bolkonskij è “l’eroe che pensa”, secondo una fortunata definizione di Alfonso Berardinelli: in lui, come in tutta la sua famiglia, prevale la mente. Annoiato dagli eventi mondani, disgustato dall’ambiente frivolo e corrotto che lo circonda, intollerante verso la quotidianità che non ubbidisce a nessuna forma e a nessun ordine razionale, parte per la guerra, spinto da una fredda ambizione di gloria e dal desiderio di emulare Napoleone. Ma già a Schöngrabern vede crollare i suoi sogni nel caos di un evento in cui tutto sembra andare alla deriva, che neppure i grandi generali come Bagration riescono a controllare con i loro ordini e i loro piani di battaglia e che non può portargli il gesto glorioso così freddamente e logicamente programmato. Se la storia e la vita non sono che un caos apparentemente privo di significato, di questo caos la guerra, alla quale tanto spazio è dedicato nel romanzo, è la forma sublimata, un microcosmo nel quale si riflette e si accentua il disordine della vita umana. Dal punto di vista della rappresentazione della guerra, il più esplicito debito letterario di Tolstoj è verso Stendhal e le pagine della "Certosa di Parma" dedicate alla battaglia di Waterloo. Tolstoj ha poi l’occasione di verificare con i propri occhi, durante il servizio militare nella guerra di Crimea, che in realtà esistono due guerre, quella degli strateghi, delle descrizioni poetiche, dei rapporti ufficiali, e il caos di fango e sangue che è il vero campo di battaglia.
Contemplando la silenziosa, misteriosa immensità del cielo di Austerlitz, un cielo lontanissimo e indifferente all’affannarsi degli uomini come minuscole formiche, Andrej, ferito sul campo di battaglia, capisce la vanità del tutto: la gloria, l’ambizione, i sogni di grandezza, il tumulto della storia, Napoleone, la vita, la morte, e piomba in una profonda crisi di valori nella quale non riesce più a trovare il senso della sua esistenza.
Anche il conte Pierre Bezuchov, amico di Andrej, è un personaggio inquieto: egli incarna il tipo dell’intellettuale astratto, onesto, pronto a morire per le sue idee, costantemente volto all’autoperfezionamento e alla trasformazione di sé, generoso, convinto di poter cambiare in meglio se stesso e il mondo grazie ai mezzi che ha a sua disposizione (il denaro e la posizione sociale), alla ricerca continua della verità e del senso della propria esistenza, ma è sostanzialmente incapace di realizzare le proprie inclinazioni. Entra nella massoneria, cerca confusamente di migliorare le condizioni di vita dei suoi contadini, ma ogni tentativo si rivela fallimentare.
Nel 1812, durante l’invasione francese della Russia, Pierre parte per il fronte, spinto da un miscuglio di vaga curiosità e desiderio di rendersi utile, e a Borodino, mentre si aggira sul campo di battaglia in frac verde e cappello bianco, fuori posto, smarrito e confuso, sperimenta anch’egli, come Andrej, l’impossibilità di capire la storia e la guerra e di agire consapevolmente in esse. Arrestato dai francesi, incontra in prigione Platon Karataev, umile contadino che con la sua dolcezza, la sua bontà, la sua fede istintiva nella Provvidenza gli svela la verità: che il grande, l’infinito, l’eterno – in una sola parola, Dio – ciò che Pierre cercava ovunque con tanta ostinazione, è qui, è ovunque, è dappertutto. Mentre il principe Andrej scopre un Dio che sta in alto, lontano e al di sopra dell’uomo come il cielo di Austerlitz, e coglie i frammenti nei quali la vita si è disintegrata, Pierre li ricompone: se ogni singola goccia che forma il flusso dell’esistenza umana rivela la presenza di Dio, ogni frammento di vita si connette con gli altri. Dio è nel cuore della vita, è la vita stessa.
L’uomo vive per una parte in un mondo che può scoprire, classificare e modificare attraverso strumenti razionali e scientifici, ma per un’altra vive immerso in un elemento che non può essere visto né misurato, della cui esistenza non può neanche rendersi pienamente conto poiché è troppo strettamente intrecciato con tutto ciò che egli dice e fa: è il flusso della vita e degli eventi. Solo alcuni uomini ne avvertono la presenza, mentre altri, sciocchi, ciechi e presuntuosi, lo ignorano o tentano di applicare ad esso strumenti scientifici, razionali o di altro genere, adatti solo a misurare ciò che si trova in superficie. È saggio solo colui che acquista il senso di questo flusso universale, lo accetta e convive pacificamente con esso. Chi tenta di sfidare la corrente è destinato al fallimento.
Il personaggio che forse più di tutti è immerso in questo flusso, lo segue con trasporto e ama follemente questa vita e ne intuisce gli esiti quasi in virtù di un misterioso potere, è Nataša Rostova, uno dei più intensi personaggi femminili mai creati in letteratura. Appassionata, vivace, spensierata, fresca e deliziosa come una rosa in boccio, Nataša possiede il segreto che conduce alla felicità ed è per questo che tutti si innamorano di lei: l’armonia totale con quella musica segreta che tutto muove, tutto comprende e tutto trascina via con sé – in fondo Nataša, forse non casualmente, ama danzare più di ogni altra cosa – e che Tolstoj è stato capace, per assurdo, di fermare sulla carta in "Guerra e pace", con una maestria, una profondità e una completezza destinate ad essere per sempre inimitabili.
C’è la musica della vita, in questo romanzo, ed è la sinfonia più imponente e maestosa che sia mai stata scritta.
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Si tratta indubbiamente di un'opera meravigliosa, forse il romanzo più bello in assoluto , per me con "La montagna incantata".
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