Dettagli Recensione
Un'assurda solitudine
La caduta è un romanzo pubblicato nel 1956 in cui Camus, all’indomani della trilogia dell’assurdo (Il mito di Sisifo, Lo straniero e Caligola) prosegue l’indagine sulla condizione esistenziale dell’uomo moderno. Il romanzo è costituito infatti da una serie di monologhi di Jean-Baptiste Clamence, un brillante avvocato parigino trasferitosi ad Amsterdam, dove fa “studio” presso il bar Mexico City, i cui avventori diventano i suoi nuovi clienti. Egli, tuttavia, non concede mai loro la parola, cosicché l’intera opera si presenta come un dialogo tra il protagonista e un interlocutore fittizio, ovvero, in ultima analisi, il lettore.
"Bisogna che accada qualcosa, è questa la spiegazione della maggior parte degli impegni che gli uomini assumono."
Clamence è l’emblema dell’uomo che vive nell’assurdo, ovvero dell’uomo che trascorre la sua esistenza perpetrando un autoinganno volto a mistificare il suo non-senso. L’assurdo si manifesta nella dicotomia tra esteriorità ed interiorità: durante la sua vita da avvocato a Parigi, il protagonista si mostrava all’apparenza dedito alla virtù, al benessere altrui, guadagnandosi la stima di tutti; in realtà, ciò nascondeva un profondo egocentrismo. Egli infatti confessa apertamente di essersi comportato in maniera narcisistica, rivendicando una superomistica libertà che gli consentiva di perseguire e ottenere tutto ciò che desiderava. In virtù di ciò, Clamence si sentiva superiore a tutti, finché non comprese la duplicità che governava la sua esistenza e non decise di cambiar vita.
"La verità come la luce acceca. La menzogna, invece, è un bel crepuscolo, che mette in valore tutti gli oggetti."
Abbandonata la sua vita lussuosa, Clamence si mescola ai miseri avventori di uno squallido bar quasi con atteggiamento profetico, esercitando la professione del giudice-penitente: svelando “socraticamente” la colpevole menzogna in cui tutti gli uomini vivono come allucinati, in modo da rendere colpevole insieme a lui l’umanità intera, egli diventa quindi giudice universale. È evidente che la sua non è una redenzione; non è la rivolta di Sisifo all’assurdo della vita o il vitalismo di Caligola. Egli è, invece, un falso profeta, che elimina la menzogna non migliorando sé stesso, ma limitandosi a perseguire il suo narcisismo e giustificandosi mediante il meccanismo del giudice-penitente. Quella di Clamence è, giustappunto, una caduta: una caduta verso la solitudine e verso l’isolamento sociale.
"Non sapevo che la libertà non è una ricompensa, né una decorazione che si festeggi con lo spumante; e neppure un regalo, una scatola di leccornie. Oh! no, anzi è un lavoro ingrato, una corsa di resistenza molto solitaria, molto estenuante. Niente spumante, niente amici che levano il bicchiere guardandoti amorevolmente. Solo in un'aula tetra, solo sulla pedana al cospetto dei giudici, e solo a decidere, di fronte a se stessi o al giudizio altrui. Alla fine di ogni atto di libertà c'è una sentenza; per questo la libertà pesa troppo, specie quando si ha la febbre, o si è inquieti, o non si ama nessuno."
Qual è dunque la relazione tra verità e libertà? È possibile per l’uomo essere autenticamente libero in una società che si fonda sulle apparenze? La risposta di Clamence è chiara e chiara è la sua scelta a favore della verità e della libertà. Eppure, egli appare tutt’altro che svincolato dall’assurdo e ben lontano dal raggiungimento di quella felicità personale che gli umanissimi non-eroi di Camus affannosamente ricercano nella costante rivolta alla loro condizione.
Anche in questo caso, dunque, non sembra esserci una risposta risolutiva: l’uomo risulta sempre e ancora in balia di una solitudine che, tanto nella libertà della verità quanto nella menzogna dell’apparenza, non sembra aprire la strada verso il suo appagamento sociale e personale, né tanto meno si presenta come una scelta moralmente accettabile.
Commenti
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Ordina
|
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
La tua recensione è molto interessante. Camus è un autore che non passa certo inosservato. Ma al di là del valore letterario, leggere i suoi libri è sempre una mezza sofferenza : mi verrebbe da scuotere i suoi personaggi, così presi in una trappola e incapaci di dare senso alla vita.
Non ho mai approfondito la biografia dell'autore, per cui non ho idea se 'c'era o ci faceva' . Mi pare che proietti l'ultima (?) frontiera del nichilismo; ma penso che, dietro a maschere razionalistiche ed ideologiche, ci siano spesso profondi e inconsci drammi di tipo emotivo-affettivo, come m'è parso traspaia nel protagonista di "Lo straniero" .