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Solitudine voluta, fame insaziabile
Una fame incessante, concreta ed affettiva, insegue e tormenta il protagonista mentre vaga per le strade di Cristania ( l’ attuale Oslo ), uno scrittore allo sbando alla ricerca di ispirazione artistica per potere sopravvivere ad una vita precipitata in basso ed abbandonata al caso.
Un giovane da poco affacciatosi al mondo che ha già dimenticato il colore della felicità, che si considera vittima di un destino avverso e si interroga sugli ultimi mesi trascorsi, sulle cause della loro durezza e su se stesso.
È un vagare assente, distaccato, elusivo, non riconoscendo volti amabili, sottraendosi alla gente ed al suo spietato giudizio, impegnato in una strenue lotta per la vita, maledicendo tutti gli uomini, indistintamente, persino Dio ed il proprio cervello svuotato dai morsi della fame.
È imprigionato ed angosciato dalla quotidianità, quel bisogno inderogabile di procacciarsi il cibo e trovare una dimora per la notte, circondato da silenzio ed oscurità.
A volte riesce ancora a rivolgersi alle stelle, abbandonandosi ad un canto poetico consolatorio che assapora dolcemente sottraendolo al peso dei giorni e delle cose. Ma i morsi della fame continuano, incessanti, ed anche quando avverte un vuoto piacevole ed incrocia qualcuno con cui condividere affinità cerebrali e sensoriali, un orgoglio ferito e la propria miseria lo allontanano immediatamente, felice di essere invisibile a tutti, ed allora vorrebbe piangere per il dolore di essere ancora in vita.
Ci sono momenti in cui crede di impazzire o di essere pazzo, ma la sua “ follia “ è conseguenza di un delirio acuito da debolezza e sfinimento.
Non gli resta che la ricerca, poco consolatoria, dei difetti di tutta la gente felice che lo circonda, quel mondo fatto di carezze, sorrisi e di superficialità che non lo riguarda. Anch’ egli, nel profondo, aspirerebbe ad attimi di felicità , alla giustizia, a fare pace con una coscienza che sente sporca, perché quel suo carattere ipersensibile e’ stato acuito dalla povertà, ben sapendo che il povero intelligente è un osservatore assai sottile.
Un lungo monologo disperato ed allucinato tra sogno e realtà, espressione di un sentire non comune, a costruire una visione del mondo ipersoggettivata. E’ qui che il racconto continua, senza una storia, un flusso incessante di pensieri, impressioni, giudizi e di una solitudine manifesta, ben rappresentata dal vuoto interiore e dagli incessanti morsi della fame.
Il protagonista sembra non trovare altro rifugio che nel mondo artistico, poetico, nella bellezza estetica, nella forza della natura, ma poi…
…” Mi drizzai ancora una volta, madido di febbre e di stanchezza, guardai verso terra e per quella volta dissi addio alla città, a Cristania, dove le finestre splendevano nitide da tutte le case “…
Un percorso tormentato ed autodistruttivo, un abisso tra realtà e sentimenti, l’ impossibilità di vivere ed amare, una socializzazione avvilente e negata. È questo l’ universo di Hamsun, ricordando che il romanzo fu pubblicato nel 1890, alieno alla letteratura dell’ epoca, intriso di elementi autobiografici e di introspezione ipnotica tanto cara all’ autore.
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Questo libro mi aveva annoiato, ma allora non conoscevo abbastanza lo scrittore. Poi di lui ho letto altro, come "Pan" che mi è parecchio piaciuto. Ho capito gli elementi 'autobiografici' presenti nelle sue opere.
Colgo l'occasione per segnalarti un libro assi interessante che lo riguarda : "Processo a Hamsun" di Enquist, in cui si ricostruisce, con una bella scrittura letteraria, il processo coi relativi effetti sulla vita privata che subì nel dopoguerra per filonazismo.