Dettagli Recensione
UNA STRAZIANTE ALLEGORIA DELL'ALIENAZIONE
Una delle tematiche più caratteristiche e riconoscibili delle opere di Franz Kafka, a partire dai primi racconti fino ad arrivare ad “America”, è sicuramente l’alienazione dell’individuo. Siccome la realtà viene quasi sempre a trovarsi su un piano di alterità e incomunicabilità, l’uomo kafkiano si smarrisce, diventa incapace di percezioni irrefutabili e rassicuranti e, conscio del suo incommensurabile distacco dalla ragione ultima dell’esistenza, diventa preda della più orribile e angosciosa estraniazione. Questo lancinante processo di alienazione da se stessi e dal mondo è descritto con allucinata lucidità nel suo racconto più celebre e probabilmente più riuscito, “La metamorfosi”. Trasformando Gregor Samsa in un insetto schifoso, Kafka materializza la condizione di chi, non sapendo abbandonarsi alla corrente vitale con slancio e rimanendo apaticamente in disparte nei confronti del mondo pulsante di energia, si rinserra come una testuggine e ad altro non aspira se non alla propria autodistruzione. E’ importante osservare che Gregor, fin dal principio del racconto, non fatica ad accettare la sorprendente situazione di essere diventato uno scarafaggio, non si meraviglia né si addolora, ma minimizza in continuazione ciò che gli è accaduto. Alla vista del suo ventre arcuato e delle numerose sottili gambette che si agitano tremolanti dinanzi ai suoi occhi, la sua unica reazione è un leggero moto di sorpresa. Ma un istante dopo egli già pensa: “Che avverrebbe se io dormissi ancora un poco e dimenticassi ogni pazzia?”, finendo poi per indugiare in riflessioni sulla pesantezza del lavoro e sulla fatica di “queste levatacce che istupidiscono completamente”. Con torpida e supina acquiescenza, egli cerca pateticamente di dare ordine agli straordinari fatti di quella mattina, trasformandoli per ciò stesso in fatti orribilmente quotidiani. Il comportamento di Gregor è in realtà un inconscio desiderio di cancellare la propria coscienza e di spogliarsi per sempre delle insopportabili responsabilità dell’esistenza: “Egli era desideroso di conoscere quel che avrebbero detto, vedendolo, quegli stessi che ora così insistentemente chiedevano di lui. Se si fossero spaventati, allora Gregor non aveva più nessuna responsabilità e poteva starsene tranquillo”. Con il trascorrere del tempo, assistiamo al progressivo allontanamento di Gregor dalla realtà: giorno dopo giorno, prigioniero di una orribile claustrazione, egli distingue con sempre minor chiarezza gli oggetti intorno a lui mentre la tenebra si impadronisce della stanza. Il mondo esterno, simboleggiato dall’ospedale di fronte, è cancellato nella nebbia (“se non avesse saputo che abitava nella Charlottenstrasse, avrebbe anche potuto credere di guardare dalla sua finestra in un deserto, in cui il cielo grigio e la terra grigia si riunivano senza lasciarsi distinguere”), ed anche il tempo non esiste più, al punto che Gregor non sa se Natale sia già passato oppure no. L’io di Gregor si ottenebra così nell’ottusità del corpo. Kafka si sofferma a descrivere minuziosamente le quotidiane occupazioni di Gregor-insetto, come le passeggiate sui muri o la degustazione dei cibi che la sorella gli porta: l’efficacia del simbolismo del racconto risiede infatti proprio nella sua perfetta fusione con l’oggetto della narrazione, che evita di fare della metamorfosi una trovata meramente letteraria. Fino alla fine comunque Gregor conserva una sensibilità molto delicata, tanto è vero che egli è l’unico a rimanere affascinato dalla musica del violino che la sorella suona davanti ai pensionanti. Il suo progressivo ottenebramento non è quindi un graduale prevalere degli istinti animali su quelli umani, bensì uno sfibrato abbandono al proprio stato di escluso.
Il racconto suggerisce a questo punto una interessante chiave di lettura. La storia della trasformazione di Gregor non è solo la rappresentazione di una volontaria e masochistica autodistruzione, ma anche la descrizione di una straniante vicenda di emarginazione. Il personaggio di Gregor è infatti il simbolo di tutti i paria dell’umanità, cioè di tutti quegli esseri umani, dai pazzi agli anziani, dagli omosessuali ai disabili, che una società sempre più egoistica e superficiale mette continuamente e crudelmente da parte. Gregor infatti vuole sì annullarsi e farsi dimenticare, ma vuole nello stesso tempo e con pari determinazione lanciare un messaggio di aiuto. Ne “La metamorfosi” si adombra una insospettata dimensione morale, che consiste nell’irresolubile dissidio tra il bisogno di amore e l’impossibilità di essere amato. I familiari di Gregor, dopo la disgrazia, non riescono più a vedere al di là della sua forma immonda quella sostanza umana che pure vive ancora in lui e che potrebbe essere salvata con un incondizionato atto d’amore. Il padre, come si è già visto, reagisce con un violento rifiuto, come se la trasformazione del figlio fosse il segno tangibile della sua colpa; la madre, che interviene solo per placare gli animi esacerbati dal rancore e dall’insofferenza, non sa provare per Gregor che una sterile commiserazione; la sorella Rita, infine, pur essendo l'unica ad avere un sia pur limitato rapporto con Gregor, non fa che consacrare "nella sua bontà" la sua nuova natura animale, e al termine del racconto è proprio lei a decretare il tremendo verdetto di condanna: “Non voglio fare il nome di mio fratello dinanzi a questa bestiaccia, e perciò dico solo: bisogna cercare di liberarsene… Via deve andare, questo è l’unico mezzo, babbo. Tu devi soltanto liberarti dal pensiero che sia Gregor”. Lo spostamento dei mobili dalla sua stanza toglie a Gregor l’ultimo residuo contatto con il mondo, precludendogli per sempre la strada del ritorno alla normalità. Per salvare la serenità della famiglia, verso la quale ha sempre conservato un commovente affetto, a Gregor non resta che scomparire, farsi definitivamente da parte. “La metamorfosi”, questa orripilante favola sulla mancanza di amore, si conclude così, inevitabilmente, con la morte del protagonista. E’ una morte narrata senza clamore né pathos: “Rimase in questo stato di meditazione vuota e tranquilla sinché l’orologio della torre non scoccò le tre di notte. Visse ancora tutto il tempo che il cielo mise a rischiararsi fuori della finestra, poi il suo capo senza volere si chinò, e debolmente gli sfuggì dalle narici il suo ultimo respiro”.
La morte di Gregor, così straziante nella sua totale assenza di dolore, ci appare come un testamento poetico di ineguagliabile bellezza. “Abbiamo bisogno – disse un giorno Kafka – di libri che abbiano su di noi l’effetto di una sventura, che ci diano molto dolore. Un libro deve essere come una scure piantata nel mare di ghiaccio che è dentro di noi”. Con “La metamorfosi”, mostrandoci la morte della nostra anima cui è preclusa l’agognata redenzione, Kafka ci ha effettivamente fatto male, ma nello stesso tempo ci ha offerto l’immenso conforto di una guida affettuosa, di una luce capace di condurci attraverso l’assurdo deserto dell’esistenza. Come Gregor Samsa, Kafka si è sacrificato per noi, addossandosi le nostre angosce e le nostre pene per salvarci dalla condanna: “E tu sei sveglio, sei uno dei custodi, trovi il prossimo agitando il legno acceso nel mucchio di stipe accanto a te. Perché vegli? Uno deve vegliare, dicono. Uno deve essere presente”.
Indicazioni utili
Commenti
4 risultati - visualizzati 1 - 4 |
Ordina
|
4 risultati - visualizzati 1 - 4 |