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Far from the madding crowd
Campagna inglese, nell'immaginaria provincia del Wessex, ultimi anni dell'Ottocento.
Gabriel Oak è un giovane fittavolo che sta costruendo la propria azienda agricola con risparmi e sacrifici, assumendo anche il ruolo di pastore per badare alle proprie greggi personalmente.
Bathsheba Everdene è invece di condizione molto modesta ma di indole indipendente, ed è per giunta dotata di una bellezza fuori dal comune, in grado di irretire qualsiasi uomo, di cui è ben consapevole.
Ovviamente, quando Gabriel incontra Bathsheba, in visita a una zia vicina di casa di Oak, non può fare a meno che rimanerne colpito, fino a chiederle impulsivamente di sposarlo. Lei, però, lo rifiuta, perchè disinteressata all'idea del matrimonio (inoltre si scusa di non provare amore verso Oak), e dopo pochi giorni lascia la casa della zia.
In una notte di tempesta Oak perde il suo gregge, e per ripagare i creditori è costretto a vendere tutto, ritrovandosi senza nemmeno un tetto sulla testa. Inizia a cercare un impiego come pastore e lo trova in un'azienda agricola in un paese vicno, venendo poi a scoprire che la fittavola è la stessa Bathsheba, che ha appena ricevuto la fattoria in eredità da uno zio, il precedente proprietario. Oak inizierà così a lavorare per lei, in lotta con i sentimenti che prova verso la ragazza e che non può dimostrarle apertamente.
Da qui, la narrazione si sposta su Bathsheba, la vera protagonista del libro. Inizialmente scettici verso di lei, i suoi dipendenti e tutto il villaggio inizieranno a stimarla, mentre Bathsheba assume le redini della fattoria come fittavola e fattore (un ruolo che tradizionalmente sarebbe spettato agli uomini). Bathsheba rivela un vero talento per gli affari e la conduzione dell'azienda, e con l'aiuto di Oak tutto inizia ad andarle a gondie vele. Seguiamo poi le sue peripezie con il fittavolo Boldwood, vicino di casa di Bathsheba bello e scapolo, che lei civettuosamente finge di voler conquistare. Boldwood, che inizialmente era l'unico del circondario a non aver subito il fascino della ragazza, finisce per innamorarsene perdutamente e si adopera per ottenere la sua mano facendole la corte.
Ma Bathsheba, al ritorno in paese del sergente Troy in congedo, perde la testa per il bel soldato e lo sposa, sorprendendo tutti i suoi pretendenti e scatenando una serie di eventi che sconvolgeranno la sua vita.
Nel complesso, è un bel romanzo che lascia un certo senso di soddisfazione per averlo finito, se non altro perchè ci si è finalmente liberati dell'ingombrante presenza dell'eroina, Bathsheba Everdene. Protagonista assoluta ed indiscussa (Oak si ridurrà a ricomparire ogni tanto nel corso della storia, ma per lo più sono rari i capitoli dedicati a lui soltanto), eroina bella quanto irritante.
Eroina che viene dipinta in modo un tantino ambiguo ed oscuro, a mio modestissimo parere: Hardy sembra infatti oscillare costantemente tra l'ammirazione per il suo carattere indipendente di donna, per le sue virtù inusuali (tipicamente "maschili", come il gestire tutti gli aspetti di una fattoria, un lavoro da uomini esperti) e la consapevolezza che, poverina, essendo una donna ha dei limiti che la porteranno inevitabilmente a compiere errori. Per cui la graziosa Bathsheba, nel suo ritenersi superiore a tutti per posizione sociale, doti ed intelletto, non sa che in realtà è inevitabilmente destinata a fallire. E' nella sua natura, giudicare male e commettere errori grossolani che certamente un uomo non potrebbe commettere, con la sua lungimiranza. A questo proposito, cito testualmente un passo nel capitolo 54, dove Hardy ci racconta che "quasi a dimostrare [...] che tutta la sua forza era dovuta più alla volontà che alla natura, si accasciò in silenzio proprio lì in mezzo a loro". Insomma, un personaggio contraddittorio di per sè, motivato spesso nelle sue azioni dal capriccio di un momento (come quando rifiuterà Oak, deciderà di sposare Troy o scriverà il fatale biglietto per Boldwood); personaggio dipinto dal suo creatore in una luce ancora più contraddittoria, che non giova certo alla sua immagine. Un'essere diviso a metà tra fallace natura "feminile" e scaltra volontà "maschile", senza esserne neanche lontanamente consapevole. Verrebbe quasi da chiedersi che opinione avesse il signor Hardy del gentil sesso, e si sa che i tempi erano assai diversi da oggi (ammetto che anche l'idea di porre come protagonista una donna-fittavola che gestisce i propri affari da sola doveva apparire davvero moderna allora). Ma insomma, non è che Bathsheba ne esca fuori proprio benissimo da tutto il polverone che ha involontariamente sollevato.
E nonostante ciò, alla così umana Bathsheba, odiosa e piena di sé, non posso che sentirmi vicina alla fine delle sue vicende. Dalla metà del libro in poi, ha saputo tenermi sulle spine, devo ammetterlo.
Giudizi leggermente misogini di Hardy a parte, il romanzo e la storia sono ben costruiti e davvero godibili, rientrando alla perfezione in quel genere di romanzo inglese che tanto piace agli amanti di Jane Austen (come la sottoscritta).
Una menzione speciale va alla "pazza folla" del titolo (ispirato a un verso di Thomas Gray, celebre poeta preromantico), ovvero a quei contadini e braccianti che costituiscono la popolazione del villaggio e lavorano per Bathsheba. Con le loro intrusioni, commenti ironici, strambe uscite (l'occhio moltiplicatore di Joseph Poorgrass, tanto per citarne una) rendono la lettura decisamente più godibile e scorrevole, e creano un piacevole effetto di contrasto comico con la serietà e pesantezza dei protagonisti principali.