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Macbeth
 
Macbeth 2018-02-16 19:19:53 Cathy
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Cathy Opinione inserita da Cathy    16 Febbraio, 2018
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Il fiume di sangue

Nella Scozia altomedievale Macbeth e Banquo sono due valorosi generali al servizio di re Duncan. Sulla via del ritorno in patria, dopo aver sedato una ribellione, incontrano tre strane figure femminili – le "weird sisters" – che profetizzano ai due condottieri un grande avvenire, salutando Macbeth come futuro signore di Cawdor e futuro re di Scozia e Banquo come padre di una stirpe di sovrani. Per entrambi è l’inizio della fine. Quando Macbeth scopre di essere stato davvero nominato signore di Cawdor, titolo sottratto a un traditore, le "weird sisters" diventano incarnazione di un destino al quale egli sceglie di andare incontro: sedotto e affascinato dalla possibilità di ottenere la corona, metterà in moto una catena di efferati delitti che si concluderà con la sua stessa rovina.
Composta probabilmente nel 1606, "Macbeth" è un’opera della maturità, appartenente al vertice della produzione di Shakespeare. Come tutti i drammi elisabettiani e shakespeariani, "Macbeth" rompe gli argini della tradizione e delle convenzioni del passato, a cominciare dal mancato rispetto delle unità pseudo-aristoteliche di tempo, luogo e azione e dalla commistione di comico e tragico, ben distinti nel teatro classico. Ma soprattutto Macbeth, come molti altri eroi tragici shakespeariani, da Amleto a Bruto, da Otello a Enobarbo, da Edgardo a Prospero, è emblema dell’uomo moderno che si affaccia sulla soglia di una nuova era e del suo dilemma che risuona ancora oggi con forza immutata, eterno e senza risposta: come agire ed esercitare il proprio libero arbitrio in un mondo, quello moderno, in cui l’antico sistema di certezze è andato in frantumi, un mondo che dopo la frattura della cristianità causata dalla riforma protestante, dopo la rivoluzione copernicana che obbliga a riscrivere i libri di scienza e contesta le affermazioni delle Sacre Scritture, dopo "Il principe" di Machiavelli, Dio appare lontanissimo e irraggiungibile, neppure il cielo è più rassicurante e la politica è diventata un mezzo per ottenere scopi privati e non più per un fine etico, mentre imperversa il dibattito sul libero arbitrio e il servo arbitrio.
In questo mondo "scardinato" e "fuori di sesto" – "disjoint" e "out of frame", per citare l’ "Amleto", l’opera in cui queste problematiche sono affrontate ai massimi livelli – cosa resta all’uomo che deve scegliere cosa fare della propria vita se non interrogarsi continuamente su se stesso, sull’universo marcio e deragliato dal proprio asse, su ciò che è bene e ciò che è male, il destino, il caso, il significato dell’esistenza stessa? Ecco dunque che nelle opere composte a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento il grande drammaturgo elisabettiano esplora il travaglio della coscienza moderna e il personaggio di Macbeth non si sottrae a questi angosciosi interrogativi. Per ottenere la corona, e soddisfare così un’ambizione che era già dentro di lui ben prima che le "weird sisters" incrociassero il suo cammino, è disposto a uccidere e ucciderà, in un crescendo sempre più rovinoso di crudeltà e disumanizzazione. Un omicida, dunque, ma un omicida problematico: nel suo animo il senso del male e la sete di potere si accompagnano al senso del bene, a una coscienza morale, a un sistema di valori, fragili e imperfetti, forse, ma non del tutto assenti. Macbeth uccide, ma poi si pente e si tormenta. Si interroga sul bene e sul male. Mette in dubbio il valore di una regalità ottenuta con il sangue, l’inganno e il tradimento. E proprio in questo suo complesso travaglio interiore si mostra profondamente diverso da sua moglie, la famigerata lady Macbeth, dominata da un’ambizione assoluta e da una crudeltà senza scrupoli (eppure perfino lei non del tutto priva di barlumi di umanità e di debolezza, perché in Shakespeare nessun personaggio è solo bianco o solo nero e il bene e il male non stanno mai tutti interamente da una parte sola).
Il frutto del travaglio interiore di Macbeth, però, sarà la scelta del male e così uccide, tradisce e inganna, percorrendo la strada di un imbarbarimento progressivo – egli stesso paragona il percorso della propria vita ad un fiume di sangue, nel quale tornare indietro sarebbe tanto gravoso quanto avanzare – che lo porterà alla totale perdita dell’umanità e infine alla rovina. E se Macbeth è un personaggio del teatro moderno, il suo destino non sarà il frutto dei capricci di una qualche divinità, imposto dall’alto, da qualcosa di più grande di lui e al di fuori di lui, come per l’eroe della tragedia classica, ma nascerà da Macbeth stesso, dalla sua interiorità, dai suoi desideri, dalle sue paure, che prenderanno forma ai suoi occhi come apparizioni misteriose, visioni, spiriti, fantasmi, i quali solo in apparenza lo incitano a proseguire sulla via del male. In fondo Macbeth non ha bisogno di spinte, né umane né sovrannaturali, per intraprendere il percorso che lo attende: il destino, così come la tragedia, sono dentro di lui. E con le sue stesse mani fabbrica la sua vita e l’esito al quale sceglierà liberamente di andare incontro. Come ciascuno di noi.

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