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Morire due volte
«Enfin, toutes les horreurs que les romanciers croient inventer sont toujours au-dessous de la vérité» : è una delle amarissime considerazioni pronunciate dall’avvocato Derville al termine di questo breve romanzo di Honoré de Balzac che ebbi occasione di scoprire, qualche anno fa, grazie a “Gli innamoramenti” di Javier Marías (per la serie, quando i libri suggeriscono, inaspettatamente, altri libri!).
Una storia davvero triste, quella del povero colonnello Hyacinthe Chabert, eroe di guerra e fedele servitore della Francia napoleonica, che riappare all’improvviso nel nuovo quadro della Restaurazione. Dato per morto durante la sanguinosa battaglia di Eylau (1807), combattuta contro l’esercito russo, è invece sopravvissuto miracolosamente alle gravi ferite riportate e alla fossa comune dove, in modo alquanto sbrigativo, era stato gettato e ricoperto da una montagna di cadaveri. Un dramma nel dramma, considerando gli inevitabili problemi burocratici da affrontare nel tentativo di rivendicare il riconoscimento della propria identità e, per di più, la cupidigia e l’arrivismo della vedova che nel frattempo, dopo aver ereditato a norma di legge tutta la notevole fortuna del marito, è convolata a nuove nozze con un giovane conte da cui ha avuto due figli.
Anche Chabert, dunque, “ancora vivo per la morte e morto per la vita”, proprio come un Mattia Pascal ante litteram; soltanto che, a differenza del futuro personaggio pirandelliano, il povero colonnello in questione avrebbe preferito non ritrovarsi in questa sorta di morte civile.
Con grande e forse inimitabile maestria, la penna di Balzac inizialmente tratteggia un uomo in apparenza insignificante, partendo dal suo vecchio cappotto ormai fuori moda, per poi mostrarne l’alta statura morale attraverso le emozioni e i sentimenti emersi pagina dopo pagina: il risultato sarà quello di un eroe tuttavia sconfitto dai suoi stessi princìpi che, di fronte a un mondo di lupi e volpi, lo porteranno a scegliere di relegarsi, sua sponte, ai margini della società, miserevole tra i miserevoli. «[…] je dois rentrer sous terre», affermerà infine questo morto vivente, eroe tragico della sua epoca e, in definitiva, emblema di tutti i senzatetto, senza famiglia e sans-papiers di ogni tempo e luogo. Una prosa davvero intensa e commovente, gustata appieno in lingua originale, sebbene il francese di Balzac mi sia apparso meno semplice rispetto a quello di altri autori letti durante i mesi scorsi (Maupassant e Verne, per esempio).
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