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La commedia umana
La memoria andava celere al passato liceale.
In quarta scoprivo Balzac come una piacevole compagnia. Una scrittura leggera, acuta e al tempo stesso agile malgrado qualche divagazione di troppo, psicologicamente ben fina e duttile nella rappresentazione di un mondo, quello “umano” con i suoi variegati contorni di miseria e disperazione.
Scoprire o meglio “riscoprire” Balzac oggi, con gli occhi della maturità, dopo dieci anni, mi permetteva di trovare quel quid, quell’abilità che trascendeva dalla semplice analisi naturalistica. Balzac aveva una scrittura capace di sfociare in analisi psicologiche da Signorina Else, anticipando, in qualche modo, i prodromi del romanzo “dell’io” che renderà grande la letteratura novecentesca.
Mi rendevo conto solo ora che tutti i libri di Balzac formavano un solo grande testo, una commedia umana vivente, luminosa, profonda, dove marciava, veniva, e si muoveva quel non so che di turbato e di tremendo misto a reale, paura e timore della nostra civiltà moderna.
Sullo sfondo fosco e incolore della provincia francese all’epoca della Restaurazione, a Samour, nell’anonimato di una campagna dove tutto scorre monotono, vive Papà Grandet, un vecchio vignaiolo arricchito con grande capacità negli affari e un talento vivente di avarizia (che Zio Paperone a confronto è mecenate), insieme alla moglie, alla figlia Eugenie e alla domestica Nanon. Gli unici eventi capaci di turbare questa stasi sono le visite serali di due famiglie della città, i Des Grassins e i Cruchot, interessate solo a impossessarsi delle ricchezze dell’anziano attraverso un matrimonio dei rispettivi figli con Eugenie.
“L’evento” tale da rompere gli schemi precostituiti è un “innocente” arrivo, quello di Charles, un giovane ed elegante gentiluomo parigino, nipote di Papà Grandet, mandato lontano da casa da suo padre, che sta vivendo un periodo di crisi economica tale da spingerlo al suicidio.
Due rappresentazioni del dramma della vita. Due sfere antitetiche di valori, riflessioni e istinti: da un lato Charles, dissipatore e amante della vita, dall’altro “l’avaro” accumulatore Papà Grandet, freddo e calcolatore, insonne nei suoi pensieri affaristici, un uomo tanto materialista da rimirare di nascosto il danaro accumulato di notte inventandosi nuove azzardate forme di investimento.
Preoccupato più che per la salute del nipote (in un primo momento ignaro dei propositi del padre), della causa fallimentare ai danni del fratello, il vecchio avaro imbastisce un’abile strategia per speculare sul fallimento del fratello con la complicità di De Grassins, offrendo al giovane cuore affranto Charles le spese di viaggio in India.
Tra i due, emerge vivo il quadro della protagonista: Eugénie.
Eugénie che dà il titolo al romanzo, rappresenta -a mio avviso- una figura marginale della storia rispetto al padre.
Vive insieme a sua madre, in un condizione di reclusa in casa, relegata ai lavori domestici di telaio e cucito.
Eugénie non ha mai conosciuto l’amore, è uno spirito ingenuo, una ragazza casta e pura, malgrado la sua non esile corporatura che Balzac amabilmente descrive. E’ evidente quindi che Charles, “l’ignoto”, farà pian piano rivedere alla giovane donna (e in generale alle donne di casa, domestica compresa), i precetti paterni, liberandola da quella “segregazione” cui il padre acidamente e avaramente l’aveva sottoposta.
Soffrendo lei stessa in primo piano per lo stato di prostrazione del cugino, darà il suo piccolo tesoretto di monete d’oro (accumulate in anni di solitudine e sacrificio) in dono al cugino come sorta di pegno d’amore.
Il segreto del dono non durerà tuttavia a lungo e le conseguenze incrineranno per sempre i rapporti già precari della famiglia sino a un nulla eterno che mai potrà rimanere tale.
L’avidità sembra la parola chiave di questo romanzo (scritto nel 1833 e oggi attuale considerando la sopraffazione emotiva che molte giovani donne sono costrette a subire), un acre sentimento che sovrasta tutto, persino gli affetti: la dolce figlia rappresenta un pericolo ereditario, il fratello suicida il rischio di un esborso, il nipote orfano una fastidiosa bocca da sfamare.
Eugénie dall’animo limpido è l’antitesi del padre. Si può dire che l’intero romanzo scritto da Balzac rappresenti un sapiente chiasmo tra la generosità della figlia, pronta a rinunciare a tutto per il suo amore e l’avidità paterna che riconosce solo nel denaro la sua unica fonte di sostentamento. I coprimari di questo chiasmo sono le figure reiette, la madre, piegata alla volontà del marito e la badante Nanon, sorta di proiezione materna di Eugénie. Ne segue un perfetto parallelismo stilistico in una trama alquanto scarna di avvenimenti, ma raffinata da descrizioni minuziose e particolareggiate, tanto dell’ambientazione quanto dei caratteri umani.
Nella lettura Balzac compie il miracolo di quello che oggi viene denominata “scrittura teatrale”. Sembra quasi, cioè, di assistere a uno spettacolo che ci riporta, con una narrazione limpida e lenta, prima nelle stanze buie e spoglie di casa Grandet e successivamente alle fredde vie di Samour, nostalgiche e malinconiche come l’animo degli stessi personaggi di contorno, quasi sfumati, irrilevanti.
Balzac non concepì subito Eugénie Grandet come romanzo ma come racconto breve atto a rappresentare una scena di vita di provincia francese. Dopo averne iniziato la stesura nel 1833, l’autore si convinse ad approfondire il soggetto e a estendere l’analisi della vita di provincia già iniziata in altri racconti dell’Europè Litearaire, dove apparirà il primo capitolo di quello che sarà qualche mese più tardi, il romanzo Eugénie Grandet.
Tocca le corde del cuore questo romanzo delizioso e assolutamente da (ri)leggere. Non solo come piccolo tassello del grandioso mosaico della “Commedia Umana” ma ritratto, semplice e reale, senza processo e senza giustizia, di una nuova Francia, di una nuova Restaurazione, e purtroppo di una nuova crisi: quella della natura umana che ieri come oggi, tocca corde di miseria ma anche di sana e limpida umiltà e generosità.
E di amore, non dimentichiamocelo.
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Questo libro è un capolavoro di Balzac, inferiore solo a "Papà Goriot".