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O lo si ama, o lo si odia
Meursault vive la propria vita con assoluta indifferenza, abbandonandosi al flusso degli eventi: prende parte quasi forzatamente al funerale della madre (di cui non ricorda con esattezza neppure l’età), svolge le proprie mansioni lavorative con inerziale diligenza, vive quasi apaticamente la relazione con la fidanzata Marie, non prova rimorso neppure dopo aver ucciso un uomo su una spiaggia assolata; quest’ultimo episodio lo porterà, imputato di omicidio premeditato, a dover affrontare un processo in tribunale, nonché a (non) dare un senso alla propria esistenza.
L’apatia di Meursault è opportunamente sottolineata dalla penna di Camus, la cui prosa risulta volutamente piatta, quasi noiosa, almeno fino ad una ventina di pagine dalla fine del romanzo.
Il finale, appunto. Condannato alla ghigliottina, Meursault giunge alla conclusione che il modo in cui ha condotto la propria esistenza sia il più logico possibile: ogni essere umano è destinato a spegnersi nel giro di qualche decina d’anni, motivo per cui vivere intensamente, affannandosi per raggiungere qualsivoglia obiettivo sarebbe di fatto fatica sprecata.
Mi sento quasi in imbarazzo nel criticare uno scrittore dello spessore di Camus, ma questa lettura non è stata in grado di trasmettermi alcunché: mi ha lasciato -ironia della sorte- indifferente. Inoltre, l’idea stessa che tanto valga vivere nell’indifferenza, non avendo la nostra esistenza alcun senso (premessa già di per sé opinabile), è a mio parere sterile: qualora foste costretti ad affrontare un viaggio con persone diverse da quelle con cui avreste preferito affrontarlo, chiudereste aprioristicamente le porte ai bei momenti che quel viaggio potrebbe in ogni caso regalarvi, o provereste piuttosto, nonostante tutto, a vivere la miglior esperienza possibile?
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