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L'idiota
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L'idiota 2017-10-19 14:41:48 catcarlo
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
catcarlo Opinione inserita da catcarlo    19 Ottobre, 2017
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L'idiota

Non è sempre facile leggere Dostoevskij e a prima vista questo poderoso romanzo può sembrare un cimento più impegnativo di altri: un racconto a tesi – lo studio di un’anima bella e a suo modo innocente nel suo impatto con uno spaccato della statica e mediocre società russa del tempo – in cui si intrecciano mille sottotrame, ma dove l’azione progredisce per spostamenti quasi impercettibili. Eppure è un libro che conquista subito, forse aiutato anche dalla traduzione di Federigo Verdinois, il cui periodare ‘rotondo’ è invecchiato con stile: non importano né le teorizzazioni né i (pochi) passaggi a vuoto dovuti alla fretta dello scrittore pressato dall’editore, sin dal primo dialogo in treno tra il protagonista e Rogožin si sprofonda in una narrazione avvolgente che regala stupendi ritratti di personaggi che si muovono in una quotidianità che Dostoevskij riesce a far sentire come eccezionale. Benché il personaggio principale sia il principe Myškin – tornato in Russia dopo un lunghissimo soggiorno in Svizzera dove è stato inviato ancora ragazzo per curare l’epilessia – risultano altrettanto importanti perlomeno il suddetto Rogožin (soggetto borderline ben prima che tale qualifica venisse solo immaginata) e le due donne a cui si legano i loro destini: la bella e perduta Nastas'ja Filippovna, sedotta adolescente dal maturo Tockij, che gioca con il proprio ruolo concedendosi libertà insolite sfidando il rischio di passar per pazza, finisce per specchiarsi negli atteggiamenti mercuriali, ma pure velleitari della rampolla di buona famiglia Aglaja Ivanovna. Questa è figlia di Elizaveta Prokof'evna, una delle figure più belle e senza dubbio la più travolgente della compagnia: lontana parente del principe, guida le tre figlie e la sua dimora con il piglio militaresco che manca, almeno nelle faccende domestiche, al marito generale Epan?in. Accanto a simile ritratto di casata benestante, c’è la descrizione di quella di Ardalion Ivolgin costretta ad arrabattarsi affittando parte dell’abitazione in cui vive: un padre alcolizzato e pazzo, ma abile nell’ inventarsi mirabolanti ricordi, che schiaccia una moglie diafana e i mediocri figli, il livoroso Gavrila (peraltro innamorato senza speranza di Ardalja) e l’astuta Varvara, capace di trovarsi un matrimonio conveniente con l’usuraio Ptycin e di infilarsi in casa Epan?in nonché nelle trame amorose che vi si svolgono. Il solo a distinguersi è il ragazzo Koljia che non per niente diventa l’unico vero amico del principe: non certo come l’eterno intrallazzatore Lebedev, canaglia sempre in piedi in bilico tra simpatico e l’antipatico, oppure come il giovane tisico Ippolit che sarebbe da compiangere se non desse l’impressione di ricavare il massimo dalla sua precaria posizione fino alla scena madre del tentato suicidio pubblico. Myškin naviga fra tutti costoro - e parecchi altri – dando una fiducia incondizionata a dispetto dell’evidenza che molti puntino solo ai suoi soldi: così facendo finisce per portare alla luce la vera natura di chi entra in contatto con lui e non è più capace di dissimulare pregi e, soprattutto, quei difatti che, pare dirci lo scrittore, finiscono senza scampo per prevalere. La narrazione rimane sempre corale, sia nelle pagine ambientate a Pietroburgo, sia in quelle che si svolgono nella località di villeggiatura di Pavlovsk, stringendosi attorno ai quattro soggetti principali solo quando è il momento di svoltare verso una conclusione in cui l’amore e la follia si combinano virando in tragedia un tono che nei precedenti capitoli si mantiene invece in linea di massima sul leggero almeno per quanto riguarda la voce narrante. Al contrario, i personaggi si perdono spesso e volentieri in lunghi sproloqui che vanno dalle velleitarie auto-giustificazioni (Lebedev ne è un vero specialista) ai più svariati argomenti: in quest’ultimo caso ne escono a volte divagazioni che appesantiscono l’insieme (si veda quella sulla pena di morte) rappresentando i rari momenti davvero deludenti. Assai meglio continuare appassionarsi alle piccole storie che si vanno sviluppando, mentre la Storia – in aperta polemica contro Tolstoij – è accuratamente tenuta fuori dalla porta a favore di uno sguardo critico e beffardo sull’immobilità socio-culturale della Russia vista attraverso gli occhi di un estraneo: interpretazioni cristologiche o meno, Myškin è un personaggio che forse come nessun altro fa della debolezza una forza fungendo in questo modo come perno di un romanzo che coinvolge come pochi chi è disposto a concedergli la giusta attenzione.

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Carlo, una bella recensione.
Ho una gran voglia di rileggere questo libro.
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