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Alice e la Victorian Age
Nell’immaginario collettivo il personaggio di Alice è secondo solo a Pinocchio e Peter Pan quale simbolo iconico di bambini che si debbono confrontare con il difficile e, spesso, per loro incomprensibile mondo degli adulti.
La storia della bambinetta che, precipitata nella tana del Coniglio Bianco, si trova a doversi dibattere in un Mondo totalmente fantastico, nel quale ogni cosa fa letteralmente a pugni con la logica, è stata oggetto di innumerevoli interpretazioni e versioni ed ha sfrenato la fantasia di epigoni e cineasti. Per tale motivo, però, spesso, si sono perse di vista le origini e le motivazioni.
Nella mia personale opera di ripescaggio dei più noti romanzi di questo genere ho deciso di affrontare “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” nel testo originale (Alice's Adventures in Wonderland), evitando di farmi traviare da traduzioni in italiano più o meno fedeli o fantasiose.
Purtroppo, pochi romanzi come quelli di Carroll soffrono nel passaggio ad un’altra lingua. L’A., invero, ha infarcito, si può dire ogni paragrafo, di pun, nonsense e altri giochi di parole che tradotti perdono gran parte della loro immediatezza.
La lettura è risultata agevole e scorrevole. L’inglese di Carroll, studiato per essere compreso da un giovane lettore, è sempre immediato e fresco. La storia si dipana in maniera divertente e non annoia, anche se risulta arcinota al lettore moderno che non viene sorpreso dalle stravaganti avventure di Alice.
Purtroppo, però, anche leggendo il testo originale inglese, molti degli intenti di Carroll rimangono celati al lettore di oggi.
Infatti debbo confessare che, personalmente, parecchi pun mi sono sfuggiti, un po’ per disattenzione (seguendo la narrazione non sempre si percepiscono anche i raffinati giochi di parole con cui è intessuta), un po’ perché, come lettore moderno, non ho individuato immediatamente il riferimento che faceva da chiave di lettura allo “scherzo” letterario. Invero il bersaglio degli strali di Carroll spesso è la società britannica della seconda metà del XIX secolo, un mondo ormai a noi piuttosto alieno: quindi, la battuta che fustiga il sistema scolastico vittoriano, piuttosto che certi perbenismi borghesi o le consuetudini dell’epoca, risulta impercepibile nel XXI secolo, soprattutto se queste situazioni vengono mostrate nella visione distorta del Wonderland. Rimane il divertimento per la situazione bislacca, per la storiella bizzarra, ma non si riesce ad individuare l’intento originario, se non solo con l’aiuto di una versione critica.
In particolare le filastrocche e le canzoncine, che i personaggi spesso intonano, giungono solo nella loro attuale valenza di irriverenti e anticonformiste tiritere, ma non essendo immediatamente fruibile l’originale storpiato per l’occasione, si possono solo immaginare gli intenti pedagogici che quest’ultimo avrebbe dovuto avere e che Carroll ha irriso. Così, tuttavia, si perde l’incisività e il mordente del nonsense.
Ciò non di meno non mi sento di consigliare la lettura accompagnandola con la consultazione di note critiche. Per lo meno quelle che accompagnavano la versione di cui io avevo la disponibilità mi sono state d’aiuto in qualche circostanza per individuare al meglio il contesto storico d’origine, ma il più delle volte hanno solo introdotto fumose (e a mio avviso speciose) argomentazioni pseudo-sociologiche che, alla lunga, irritano e tolgono quella freschezza che il testo deve necessariamente conservare.
Concludendo, la lettura è stata indubbiamente piacevole, ma proprio per la poca familiarità con il contesto storico che ne dovrebbe costituire il fondale, spesso la storia degrada a mera favola per bambini, il che, purtroppo è una pecca difficilmente emendabile, perché frutto della patina del tempo che si è depositata sopra l’invenzione di Carroll.
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