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Uomo di parola, anche senza indirizzo...
Una delle tante perle che ancora mancavano nel mio percorso di lettrice...
Ogni tassello della storia perfettamente congegnato ed incastrato al successivo, dove ogni occasione, promessa, vizio e contrattempo vanno a disegnare il quadro di un uomo, un clochard, che ha perduto la sua aderenza alla realtà, si è liberato da ogni tipo di responsabilità nei confronti della società e di se stesso.
Il protagonista Andreas Kartak e Joseph Roth si somigliano, entrambi consumati dall'alcool, ma sempre ancorati ad un certo tipo di dignità, derelitti sí, ma con onore.
"Uomo di parola, anche senza indirizzo..."
Entrambi provenienti da un paese che hanno dovuto lasciare, per ritrovarsi a morire in un altro.
La dicotomia tra debolezza e senso del dovere pervade tutta la narrazione.
Ma poi i bisogni del corpo prendono il sopravvento sullo spirito, immancabilmente.
La sensazione è quella di assistere alla disfatta di un uomo che desidera ardentemente di rientrare "nel mondo", ma si ritrova sempre ai margini, fuori dalla porta, sulla soglia ma mai dentro...e sempre e soltanto per colpa sua, solo sua.
Ma in fondo è proprio questa debolezza, questo suo cadere sempre in tentazione a renderlo vicino, vero, moderno.
E la fine...è la fine che Roth auspicava per se stesso, quasi volesse lasciare un testamento ("Voglia Dio concedere a tutti noi, a noi bevitori, una morte tanto lieve e bella")...ma, noi lo sappiamo, le cose non sono andate così per lui.
Inevitabilmente, leggendo questa piccola fiaba novecentesca, il mio pensiero è andato al romanzo "Il sole dei morenti", che ad essa si sarà certamente ispirato...ma, non me ne voglia nessuno, le emozioni, le vibrazioni e il coinvolgimento che ho provato leggendo Izzo, viaggiano in un'altra dimensione, più vicina al mio sentire.
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Anche a me il libro è piaciuto molto : un Roth in un momento di grazia.