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RECENSIONE
Intelligente, ironico, divertente e profondo, questo romanzo del 1972 che ha tutte le caratteristiche della commedia nera. Con uno stile fluido ed elegante Milan Kundera racconta le vicende di otto personaggi invischiati in una cittadina termale, meta privilegiata di donne presumibilmente infeconde. Nell’arco temporale di sole cinque giornate si intrecciano paradossalmente tra loro le vite del trombettista Klima, reo di aver tradito la moglie (di cui è tra l’altro innamoratissimo) in una notte di festeggiamenti e bagordi post concerto, Kamila, la bellissima moglie del musicista accecata dalla gelosia, Skreta, il medico ginecologo “impollinatore” che elargisce il proprio seme a insaputa delle sue pazienti con difficoltà procreative, Ruzena, la giovane e gravida infermiera dello stabilimento termale incerta sulla paternità del proprio figlio ma che ha già scelto il padre a lei più congeniale, Jakub, lo pseudo psicologo prossimo a lasciare il Paese dopo un passato di turbolenze politiche, Bertlef, ricco villeggiante americano nonché saggio predicatore, fervente religioso e donnaiolo, Olga, figlia di un rivoluzionario condannato a morte e Frantisek, ingenuo ragazzo sedotto e abbandonato trasformatosi in stalker.
A dominare su tutto è la maestria e lo sguardo profondamente ironico dello scrittore ceco che indaga il rapporto dell’individuo con gli altri e con se stesso, in un turbinio di eventi che lascia spazio a tutte le voci (per questo è un grande romanzo polifonico). Come ebbe modo di scrivere Italo Calvino: “tra tanti scrittori di romanzi, Kundera è un romanziere vero, nel senso che le storie dei personaggi sono il suo primo interesse: storie private, soprattutto storie di coppie, nella loro singolarità e imprevedibilità. Il suo modo di raccontare procede a ondate successive e attraverso divagazioni e commenti che trasformano il problema privato in problema universale, dunque anche nostro”.
Infatti Kundera, con la “leggerezza” che gli è congeniale, ne “Il valzer degli adii” affronta temi come l’infedeltà, l’aborto, la procreazione, la paternità, i progetti eugenetici, la bellezza e il delitto. Sì, il delitto, perché le circostanze e il caso possono trasformare un uomo qualsiasi in potenziale assassino o semplicemente rivelare a se stesso che dentro di sé lo è sempre stato. Procedendo verso il finale dunque, il romanzo prende anche i connotati di un giallo. Si tratta di omicidio o suicidio? Sarà un ispettore giunto alla stazione termale per interrogare i sospettati a svelare la verità? O il caso, a cui nessun essere umano può sottrarsi, si prenderà gioco di tutti?
Milan Kundera nel frattempo sollazza il lettore con un magico parallelismo tra Raskolinkov, il protagonista del romanzo dostoevskiano “Delitto e Castigo” e un personaggio de “Il valzer degli addii” disquisendo ( la voce di chi marra e la voce di chi riflette sono la stessa voce) sul significato intrinseco e personale del commettere un delitto, in quanto anche l’assassinio può diventare un atto di autoconoscenza.
Questa commedia nera intrisa di ironia, narrata nello stesso tempo (proprio come a teatro), dà la possibilità a tutti i personaggi di autoconoscersi, di autorivelarsi. Nelle loro vite c’è un’epifania (come in J. Joyce), cioè un momento speciale in cui un episodio diventa rivelatore del vero significato della loro esistenza. E non è detto che questo disvelamento della realtà sia meno inquietante della falsità.
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