Dettagli Recensione
Banalmente affascinante
Romanzo appartenente alla prima fase della narrativa jamesiana, pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1880, se si sono già letti i suoi romanzi brevi più belli “Giro di vite” (1898), “La bestia nella giungla” (1903) o il romanzo lungo “Le ali della colomba”(1902) o ancora il più noto “Ritratto di signora - coevo a Washington Square - si rimarrà inizialmente sorpresi dalla narrazione fluida, dalla trama spicciola, da un romanzo che apparentemente sembra abbastanza sempliciotto. Eppure non nego che mi è piaciuto e come al solito sono stata in balia dei capricci jamesiani. Si legge, il lieve romanzo, ancora una volta sulla scia di una lunga prospettiva chiedendosi che cosa accadrà mai, quale sarà il punto di volta, dove lo si troverà inaspettatamente, e ancora quali sviluppi conosceranno i personaggi, quali evoluzioni, perché sì un punto di volta ci dovrà pur essere. Ed eccoci di nuovo caduti nell’inganno! Nessuna evoluzione, nessun importante smottamento, nessuna rivoluzione, nessuna!! Eppure si arriva alla fine piacevolmente intrattenuti da una banalità che ha il fascino di suscitare quei grandi interrogativi che portano ad andare un po’ sopra le righe per chiedersi semplicemente: come viviamo, che significato attribuiamo agli eventi che ci capitano, come reputiamo di essere in grado di essere noi medesimi gli artefici del nostro destino, e ancora come viviamo il nostro temperamento personale, ne abbiamo uno effettivamente marcato e marcante?
Il romanzo è ambientato in America, New York, in una abitazione borghese sita in Washington Square, il fulcro di tutti gli eventi, la metafora dell’immobilismo più assoluto della povera protagonista Catherine. È la figlia poco apprezzata del Dottor Sloper, noto negli ambienti per rigore, onestà e fine intelletto, quello che lamenta mancare alla figlia, l’unica rimastogli dopo la morte prematura di un figlio e della moglie, emblematico il fatto che lui così capace non sia riuscito a strapparli dalla morte. Salvo due brevi digressioni, funzionali all’impianto narrativo e caratteristiche della prosa jamesiana, ambientante in Europa, la scena è fissa su Catherine e sulla dimora dove tutto accade, anche quando lei non è presente perché momentaneamente in viaggio col padre. La casa è luogo di incontro con un suo pretendente il quale si rivela fin da subito per i suoi intenti meschini anelanti al miraggio del soldo facile, quello che il matrimonio con quella giovane bruttina e insignificante potrebbe garantirgli. L’accorto Dottor Sloper fiuta immediatamente il pericolo e intralcia le possibili nozze. La dimora è inoltre il luogo dove l’antagonista Morris si troverà a casa proprio in assenza del padrone grazie alla benevolenza della sorella, si appropria degli ambienti a lui più cari, tenta la sostituzione, attende il rientro e cerca di convincere la giovane Catherine del suo amore... Insomma tutta la narrazione è un tira e molla fra padre e figlia e pretendente, mai uno scontro aperto, mai una parola di più, tutto è giocato sul filo della psicologia più fine con una ragazza che riuscirà a giocare la sua partita senza perdere un colpo seppur perdendola.
Consigliato perché piacevole, interessante, suscitatore di interrogativi e insolitamente jamesiano.