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IL DESIDERIO, LA PAURA
Il romanzo datato 1862 apre la fase più importante della produzione dell’autore russo e segue il successo della raccolta di racconti “Memorie di un cacciatore”(1852), all’epoca fu accolto da notevoli e prolungate polemiche e da giudizi contrastanti. Fu letto infatti in chiave sociale rappresentando la società russa nel momento in cui la recente riforma voluta dallo zar Alessandro II poneva fine alla servitù della gleba restituendo la libertà ai contadini e frazionando le terre dei grandi proprietari. Dalla lettura del romanzo si evince il quadro sociale e ci si accorge di essere di fronte ad una realtà in divenire, in parte ancorata ai vecchi modelli sociali , culturali ed economici, in parte invece tesa ad un timido cambiamento di cui pochi paiono avere netta percezione e questo trasversalmente nelle due grandi categorie ivi rappresentate: i vecchi e i giovani. Il merito di Turgenev è appunto quello di offrirci uno spaccato reale, equilibrato, sincero di tali contraddizioni rappresentate dall’atavico generazionale passaggio di consegne.
I giovani Arkàdij e Bazàrov rientrano presso le loro famiglie terminati gli studi. La loro è un’amicizia recente, il primo pare quasi rapito dall’originalità del secondo che offre una visione della vita complessa, disturbante, nichilista andando a colpire tutte le certezze costruite dalla generazione precedente. Soggiornano dapprima presso la famiglia di Arkàdij la quale viene rappresentata nella sua composita complessità fatta di tante sfaccettature esistenziali e sociali. Bazàrov vi si insinua come una spina velenosa aprendo pericolose brecce e sovvertendo il presunto ordine. È un perfetto elemento disturbante che troverà un appetibile antagonista nel signorotto di campagna, zio dell’amico, residente nella stessa casa. Proseguono il loro tour nella steppa sconfinata andando presso la residenza di una gentile signora per poi dirottarsi verso la casa di Bazàrov dove accoglienti aspettano i suoi mesti genitori. In realtà il modulo del viaggio a tappe non è poi così lineare, eventi non anticipabili porteranno a separate partenze, a insperati ritorni e a definitivi congedi.
Con una prosa limpida, efficace, a tratti poeticamente descrittiva, l’occhio di Turgenev esplora gli animi umani e ne coglie le più fallaci contraddizioni rendendo umani anche i più invisi, avvicinandoli al nostro cuore e facendoceli capire nella loro finitezza. La sua penna si affina anche col più modesto, col meno appetibile, perfino col contadino al quale restituisce lo sguardo lucido che il più acuto dei personaggi vanta di avere. Ogni personaggio è persona a tutto tondo. Nikolàj, il proprietario illuminato, percepisce tristemente il solco del tempo tra sé e il figlio, l’ingenuo Vasìlij ne intuisce pure la distanza ma la colma di paterno affetto: sono i padri. Loro, i figli , sono complementari l’uno all’altro e opposti nel loro percorso di crescita, più tradizionalista Arkàdij , più coerente Bazaròv. Personaggio potente, riuscitissimo, amato da me per la sua aura da vinto. Il suo essere disturbante cela un dissidio interiore profondissimo che la penna di Turgenev rende indimenticabile: ”Io invece penso: eccomi qui, sdraiato all’ombra di questo mucchio di fieno … il posto che occupo è infinitamente piccolo se lo si paragona a tutto lo spazio dove io non sono e non sarò mai … E la porzione di tempo in cui mi è dato vivere è così insignificante rispetto all’eternità in cui non ho vissuto e non vivrò mai. E in questo atomo, in questo punto matematico, circola il sangue, lavora il cervello, nascono dei desideri … Che orrore! Che assurdità!”.
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